martedì 30 dicembre 2008

Appagamento a pagamento


Appagamento a pagamento!!!


Bisogna pagare per essere felici!!!


Intossicati ed inaciditi dal protrarsi lungo delle celebrazioni, i condannati alle feste forzate arrancano ormai sfatti ed appesantiti.

Sui loro volti le occhiaie hanno preso il posto di quel luminoso sorrider degli occhi, durato non più d'un istante.

La brillantezza del poggiar il piede a terra, al momento dell'arrivo-ritorno in patria, si stempera presto davanti al ripetersi per inerzia di vicende già conosciute ed affrontate, e svanisce triste una volta compreso che quel che fu la tua residenza è ora solo luogo di passaggio nel quale trascorrere del tempo senza vera possibilità di costruirne dell'altro.



Non vorrei crear generar asfissia al respiro festivo, ma son desideroso di farlo.


Non vorrei costringere ad uno sforzo in eccesso, ma vorrei imporlo.


Non vorrei farmi indigesto, ma spinto da indigestione di buone intenzioni, vinto dalla tentazione d'urlare, annuncio ad alta voce e m'auguro che la risposta giunga irruenta e rapida in forma d'un prolisso necessario vomitar di parole:


Svendesi regali messaggi d'auguri di seconda mano, da distribuire collettivamente ed anonimamente, in barba alla presunta sincerità del momento, ad uso di quei tanti scomodi o incomodi incontri non ancora avvenuti eppure già risaputi.

mercoledì 24 dicembre 2008

Il viaggiatore è tenuto ad osservare (regole o persone?)


Ci si arrostisce il volto a metà nei pressi del finestrino battuto dal sole ruggente, poi si infila la gamba destra dentro il frigorifero disponibile all'interno dello scompartimento stesso, dove l'aria che fuoriesce dalle fessure s'alterna in-condizionata tra caldo e freddo; s'ascolta stupiti che dagli altoparlanti di bordo si ricordi il banale e si tralasci l'essenziale: è severamente vietato scendere dalla parte opposta a quella indicata, ma è impossibile sapere che una frana blocca la ferrovia nelle vicinanze di Mileto. Lo si apprende troppo tardi, nell'attender sospesi novelle da chi assiste i clienti parlottando al telefono con la mamma, la nonna o il capostazione.

Si gioisce nel vedere la grottesca vitalità risvegliata di passeggeri esigenti che, disturbati da valige e ritardi in eccesso, biglietti ed orgoglio alla mano, intimano vendetta a funzionari poco efficienti.

Si finisce sognanti e tramortiti a guardar verso il basso. Ammirare come un barboncino al guinzaglio possa esser più smarrito più paziente più educato dell'umano che si dimena furioso e vano, può esser rimedio e lenitivo all'infervorarsi per l'ordinario smottamento della nostra civiltà, per il continuo franare del futuro sotto i colpi di intemperie prodotte dalla nostra stessa atavica incuria.

Teso

Teso
poiché da te stesso
conteso.
Consapevole
d'aver invano
la luce
atteso
Ed inoltre
appreso
d'esser
in perenne
malinteso
ti dirai infine
disteso
e non più
arbitrariamente
dal mondo
offeso

martedì 23 dicembre 2008

Fatti diversi


Per una sovversione congenita al grande evento e per una zavattiniana fede nell'eccezionalità d'ogni minimo gesto, Sam continua a sorvegliare vigile su ogni piccola azione che lo interessai e lo attraversi.

Come a frugare tra le varie ed eventuali di una scaletta i cui punti salienti restano sempre materia astratta, si convince che è proprio attraverso la minuzia o il frammento che si riesce a far un passo avanti.

Oggi non è scivolato, diversamente come la sua mente aveva immaginato, in una di quelle foglie ingiallite e copiose che, ammirabili, facevano da tappeto organico in via Zabaglia. Una tra quelle che ornavano il marciapiede bagnato che, tra le mura d'una scuola chiassosa ed un parcometro sempre pronto a mangiar altri denari per mantener alto l'onore comunale, porta verso la Piramide.

Erano le 13 e pochi minuti d'un giorno di metà dicembre quando il fatto non accadde. Sam camminava a ritmo mediamente sostenuto, poggiando i suoi stivali con tacco rumoroso ed insieme i suoi sguardi meticolosi su quella superficie dalle premesse così generosamente viscide ed ostiche che, dei tanti possibili spiragli d'evento cui quella circostanza poteva dar il via, ha nondimeno lasciato filar tutto liscio, senza lo squilibrio o la sbavatura tanto attesa, perpetuando il perenne rincorrersi del niente succedente al niente

mercoledì 17 dicembre 2008

Collocamenti


Sam consulta il suo ufficio di disorientamento preferito, quello che ha sede instabile sopra il suo cuscino ed orario di ricevimento tra il tramonto della ragione ed il risveglio della stessa.
Gli si offrono delle nuove inedite professioni, il cui valore esistenziale non è da tralasciare.

L'impiego di chi lavora come scaricatore di pesi e responsabilità al porto al quale attraccano le sue stesse inquietudini gli pare il più accattivante. I suddetti turbamenti vanno a riempire dei conteiner dalle rigide pareti, fatti trasferire su convogli in cui altri individui si prendono l'onere di farsene custodi ed insieme carcerieri, e poi fatti partire mal celando un gran sospiro di sollievo.

Altro fascino ha chi s'installa nei pressi d'una porta e può far del suo sguardo attento uno strumento produttivo.
Ma chi fanno uscire gli uscieri? In uno slancio volitivo Sam confessa che gli piacerebbe farsi usciere del pensiero, in modo da poter visionare con attenzione tutto ciò che giornalmente fugge via dal suo cervello (e quello che ne prende il posto).
É tale organo come grande albergo, dove c'è chi sosta per lungo tempo, chi è in partenza, chi in arrivo. Chi chiede il permesso e chi invece fa irruzione con la forza. Chi viene pagato e chi invece paga pegno per aver soggiornato in luoghi tanto esclusivi.

Ma a ragion veduta all'ufficio si consiglia a Sam d'aver per committente solo sé stesso. Quando è l'Io a manovrarne le azioni, gli impone quasi di non (r)aggiungere più altro, d'accomodarsi ed accontentarsi d'essere, quietando quel suo voler sommare un altro granello a quelli che presume d'aver già intascato nella controversa storia del genere umano.

"Rimani a guardare, poiché questo basta, poiché è più saggio e sicuro. Che tu sei comodo, sei messo bene, e non hai bisogno d'altro!"

sabato 13 dicembre 2008

Lotte intestine

Al bar chiedo un cono con turista da leccare. Di quelle con pelle fresca ed accattivante, mi raccomando!

Quelle dall'urlo facile, quelle che s'abbigliano con vesti striminzite e recitano ingenuo stupore al meglio del loro non-essere.

Poi avanzo, e mi chiedo a che ora dovrei staccare la spina della ragione. L'avrò fatto troppo presto quest'oggi?

Mancava ancora qualche osservazione critica, qualche puntigliosa presa di posizione, un nuovo passo da compiere tra i rottami dell'informazione prima di lasciar spazio alle intemperie dell'immaginazione?

No, forse era già il momento di metter la testa dove voi non mettereste mai nemmeno un piede.

Tra le vie oscure del surreale, dove ci si giova nell'inciampare, nel confondere e mescolare.

È lì che mi arrischio a prender contatto con il mio pensiero, è l' che ne indago il portamento. Contratto con lui la buona riuscita della serata, ma il suo porsi irrispettoso fa presagire che sarà ancora il caso di fare a botte, e spegnere a forza di pugni e calci i suoi istinti reazionari.

Per stasera mi trattengo tuttavia, riesco a ascender a patti e tenerlo a bada, offrendogli un po' di riposo. Faccio in modo che si calmi, che non segua altri eventi, che riesca a ri-pensare un po' tutto il visto nel corso della settimana senza la stolida eccitazione che gli fa rincorrere, ansimante ed ormai sfinito, altro ed altro ancora.


mercoledì 10 dicembre 2008

Delitti


Misterioso delitto per causa di incombente delirio da noia. Viene meno d'improvviso il piacere del viaggio, e sulle sue inanimate spoglie son già in tanti a piangere.

Sam se ne addolora più degli altri, sostando ancora controvoglia in posto non prenotato, occupato per caso benevolente e per educato tempismo.

Perso il senno in seguito al sopraggiungere dell'ora quarta di percorrenza, inizia a maltrattar unghie pelle carte ed abiti. Una volta che la pazienza è evaporata, le poche parole vergini con le quali avrebbe voluto condividere il cammino se la sono data a gambe levate. Le si vede lontane ed inafferrabili, impaurite dall'uso violento del quale avrebbero presto sofferto.

Privati dei propri interessi, ci si nutre del discorso d'altri, se ne subiscono le intemperie, ci si trasloca con grande sforzo tra le stanze vuote nelle quali ci si vorrebbe cullare in silenzio.
Tuttavia il sovraffollamento d' anime persiste, e coincide con lo sfoltimento rapido delle idee dalle teste di Sam viaggiante.

Un'ipotesi che rasenta il gesto estremo prende corpo con il susseguirsi animato dei disturbi: scender di fretta, farlo per vie non consuete, gettarsi come oggetto umano al di là del finestrino, inoltrarsi là dove un po' di spazio dovrebbe ancora esserci.

Concentrarsi, chiuder le palpebre, spegner il pensiero, tuffarsi nell'aria.

martedì 2 dicembre 2008

Mal fermo


Dall'irrequietezza che si patisce nello star di fronte ad un libro Sam apprende di come lo zapping si sia fatto parte integrante dei meccanismi vitali di chi è nato con un telecomando tra le mani.

Di chi ha incorporato suo malgrado il procedere a salti del consumo sensoriale già post-moderno, ed ora, in tempi di studio, non sa come fare a canalizzare la sua attenzione su una ed una sola fonte.

Il dislocarsi di cui soffre è forse primariamente di carattere mentale, ma non di meno, quel che si nota di primo acchitto, è una traslazione del problema sul piano motorio. Delle diverse posizioni che va esperendo tra le mura di casa, non ce ne è una che non lo faccia sentire come un leone in gabbia nel giorno in cui più gli sarebbe piaciuto correr nei campi e raggiunger la sua preda a grandi balzi.

S'arrovella e tenta di capire più a fondo come lo star seduto sia attitudine assolutamente non consustanziale con il suo equilibrio psico-fisico. Mai domo, neanche nella speranza che la sua ricerca lo possa portare alla situazione ideale, Sam prova a collocare il suo corpo in un gran numero di pose e posture diverse.

Lo si può osservare in piedi con le pagine tra le mani, steso sul letto, prima prono poi supino, di nuovo precariamente sui suoi piedi, a ginocchia piegate con il libro al margine del tavolo, poi ancora, già in parte avvilito dal suo stato, sul pavimento freddo, infine comodamente a testa in giù in attesa che, stando sottosopra, anche la sua irrequietezza possa trasformarsi in stasi imperitura.

Come l'esiliato dalla propria patria, ma senza che di tale luogo egli sappia tracciarne i confini, Sam trasloca insoddisfatto da una stanza all'altra, in cerca della migliore luminosità, del metro quadrato che meno lo faccia distrarre, del muro più bianco possibile, dell'orientamento spaziale più adatto all'apprendimento.

Medita, sedizioso ed interessato, sull'orlo del paradosso, riguardo al suo impegnarsi fallace. Polemizza con la vulgata del fare una cosa alla volta. Sarà che per lui l'impegnarsi in una sola occupazione si traduce con l'essere ammanettato? Sarà che il rimanere nello stesso luogo diventi metafora dello stare recluso nell'identico e nel già visto?

Diagnostica con il sorriso sulle labbra che l'insofferenza allo star fermo ha origini antiche. Scavando a fondo ritrova esempi di scompostezza acuta in tempi d'infanzia. Sarà che da quella fase d'iperattività priva di scopo necessario, tanto vitale fino a trasformarsi nell'oro della nostalgia, non abbia ancora lasciato spazio ai compromessi dell'immobilismo adulto?

Sarà che da quello stadio di formidabile turbolenza nessuno sia riuscito ancora ad allontanarlo?

martedì 25 novembre 2008

Passare in mezzo


Istruzioni a corto di serietà ad uso di facoltose menti spaventate dal vuoto.

Una volta che il pensiero si è arenato su scogli che, con il tasso alcolico di cui puoi fregiarti diventano di certo insormontabili, pesca dalla tua tasca tre monete d'egual diametro (o se vuoi saggiare la sensibilità del tuo colpo anche di peso e misure diverse), piazzale alla rinfusa sul tavolaccio umido da pub, ormai pieno d'asperità e di attrito, vittima degli avventori d'un sabato sera, ed inizia in buona compagnia a pianificare con metodo l'occupazione che ti trasporterà sino alle soglie dell'indomani.

A turno si tenterà d'infilare una delle tre monete tra le altre due, con un solo colpo, senza che ai giocatori sia consentito avventarsi sulla stessa moneta colpita per due volte di seguito.

A tal scopo ci si interroga sul da farsi. S'affinano le armi in campo.

Fare in modo che il proprio indice, piegandosi su sé stesso e aiutandosi con parte del pollice, si faccia strumento di precisione, molla umana capace di colpire con decisione una moneta di pochi millimetri di spessore, è impresa ardita nel caos generale d'una riunione alcolica legalizzata ma non certo ordinata. Ma cerca di scavare a fondo nel tuo serbatoio di pazienza, fino a recuperare un minimo di concentrazione tra urla, schiamazzi, bicchieri in corso di svuotamento, porte che s'aprono inavvertitamente sul gelo esterno e, non per ultima, una ansia da prestazione stemperata dall'amatorialità del caso ma non totalmente acquietata.

Riuscire ad entrare nel varco tra le altre monete diventa compito cui dedicarsi senza distrazioni. É ormai chiaro lo scopo dell'esperienza: riuscire a stare al centro. Fare centro. Essere al centro. Centrarsi. Riuscire a passare in mezzo. Senza tamponare i margini. Senza stentare nel tentativo. Senza scivolare a lato per aver sbagliato mira.

Convoglia tutte le tue abilità attorno a quel minimo gesto sul quale si incentra la tua riflessione.

Manomettere il proprio ruolo di semplice bevitore, manipolando l'esistenza di tre monete è esercizio d'abilità degno dei più raffinati giochi che le comunità negate alla sobrietà sono solite inventarsi in tempi di carestia mentale.

Si può scendere a patti con la strategia cinica che presiede il gioco. Si calcolano le vie possibili, quelle immaginarie, quelle proibite. Farsi furbo è azione consigliata ai più. Con astuzia porre ostacoli a chi ti segue. Viceversa sperare ingenuamente nella bontà di chi ti precede.

In caso d'errore c'è una sanzione da subire. Ma l'ammenda da pagare non è altro che il continuare a tracannare.

Come avvertimento per i meno lesti, si fa notare che la sottigliezza del passatempo s'avvertirà in tutta la sua eloquenza al momento di ritornar fuori dal gioco, per entrarne in uno più grande.

Trasferendo su scala umana il medesimo esempio di trastullamento festivo, ogni passo diventa teso ad disegnare tragitti o incrociare traiettorie senza toccarsi. Farsi birilli, a turno immobili, semoventi o assai dinamici del traffico generale di vite oggetti macchine e virtualità di diversa natura.

Capire dove potersi infilare. Spedirsi con decisione verso qualcun altro. O viceversa esitare nel farlo perché la tua molla è ammaccata o malfunzionante, perché manca di forza, di coraggio, di strategia.

domenica 16 novembre 2008

Strategia della manutenzione


La strategia della manutenzione impone una sosta vietata alla speranza nei pressi dello status quo, dove ci si mantiene a galla per non rischiare d'affondare, dove si fa esercizio di prudenza mentre sarebbe il caso di sporgersi un po' più in là e provare a cadere in tentazione, a cedere alla volontà d'osare.

Amministrare l'esistente è invece l'imperativo di quella grigia landa. Si prega farlo con metodica dedizione poiché nell'illusorio progettare non è più consentito riporre ulteriore fiducia, poiché con il rivoluzionario sognare non s'arriva a fine mese.

Proseguire senza pensiero è il consiglio che viene distribuito subdolamente ai passanti, lasciando che dentro di loro covi lento il rammarico del potenzialmente fattibile lasciato marcire, facendo sì che il giorno passi senza il sospetto d'aver commesso quell'omicidio invero tanto evidente, quell'aver colpito a morte altre ore irripetibili, inesorabilmente e senza averne avvertito la colpa.

Si scende in strada e ci si affanna a consumare con etica ammaccata, scegliendo con cura dalla lista degli eventi quelli più consoni al tuo percorso esistenziale.

Si consuma e ci si consuma, ma forse non lo si fa abbastanza, visto che è del presente che dovremmo nutrirci, è al momento che vorremmo appartenere, e non all'ideale d'una vita impacchettata passata o futura. Ora che siamo imprevedibili poiché mai ancora così stati dovremmo saltare di gioia e sfondare le porte del pre-scritto con l'energia inarrestabile che porta con sé un gesto compiuto di sorpresa.

Eppure poi ci si accascia, ci si spegne, ci si addormenta, si rimettono in tasca le briciole di positivismo che il secolo scorso ci ha lasciato. E s'imposta la sveglia, e se ne si rispettano gli ordini. Si lascia da parte la leggerezza dei tempi lenti e, di corsa, si ripete con sapienza attoriale l'ordinaria gestione degli spazi e dei tempi.

La mimica del perdente


Sam si dice sollevato che le giovanili inquietudini che gli si pongono davanti non lo riguardino ormai se non dall'esterno. L'evolversi nevrotico d'un match pone in evidenza con sfacciata crudezza la mimica del perdente, triste gesticolare d'una mente non più presente sul luogo d'azione.

Ma poi si ricorda di quando non era ancora in grado di relativizzare le sue azioni ed il tennis era più al centro del centro del suo mondo. Così seppur adesso il suo ruolo è di mero osservatore, mantenitore dell'ordine, controllore del rispetto delle regole, vigilante il lineare evolversi d'un torneo domenicale destinato a nuovi aspiranti agonisti, quel che vede si mischia con quel che ha vissuto mille volte da protagonista.

Come si declini il disappunto di fronte alla sconfitta è fatto soggettivo, ma suscettibile d'una generalizzazione e catalogazione che possa lasciare ampio spazio di consultazione a chi non sia ancora ferrato dell'argomento.

Cominciare con il parlarsi addosso, con un fare quieto eppur schizofrenico .

Scuotere il capo e farlo con forza, poiché da lì partono i tuoi mali. Perché è lassù che si dovrebbero prender decisioni ed invece ci si barcamena, ci si riempe d'incertezza e distrazione. Si indugia fino a quando il colpo non potrà portare che a sbagliare. La palla è passata, il punto perso.

Non trovar consolazione.

Allargar le braccia, alzare le spalle, scalciare nervosamente.

Imprecare accanendosi contro il santo preferito, contro il tuo stesso strumento di gioco, contro la tua stessa pelle.

La scusa è dietro l'angolo. Si tratta di te, ma è d'altro che devi occuparti se vuoi giustificarti. Colpa del campo, delle palle, del sole, del vento, degli spettatori, dei genitori, degli allenatori.

C'è qualcosa che non funziona: le gambe, il braccio o, con più probabilità, la testa.

Chi cerca d'imitar pedissequamente l'idolo amato, ricalcandone gesti e movenze, non ha che un risultato da raggiungere: scalfire la propria già traballante solidità a forza di volersi fare doppio del perfetto giocatore ammirato da lontano, struggersi nel non saper arrivare al livello voluto, a quello sperato.

Volgere lo sguardo al cielo

Non trovare soluzioni

Sotterrare le proprie ambizioni sotto un mare di errori.

Dirsi incredulo

della propria nullità

della propria incapacità

della propria fragilità.

Ci si fa capro espiatorio. Il destino gioca sempre con te? Non è possibile che capiti proprio a me!!

Quando ci si accorge di dover cambiare atteggiamento, di dover prendere provvedimenti nei confronti di sé stessi, il tempo è finito e la partita abbandonata nelle mani avversarie.


martedì 11 novembre 2008

Cosmo-teogonia d'un luogo. Il Bandana

Ci sono luoghi in cui quasi spontaneamente quel che si presume reale si presta alla nostra lente deformante e si trasferisce sul piano simbolico.

E' qui che, per diretta conseguenza, l'illusione d'aver trovato un senso (o già di essere sulla buona strada nella ricerca), la quadratura del cerchio che le tue mani nude, in continuo cammino, tracciano sui bordi di quel bicchiere che si frappone tra il tuo sguardo ed il vuoto, raggiunge insperate vette di concreta utopia.

Al Bandana Dio si chiama Antonello. Dicono di lui che abbia molto viaggiato come agente di commercio nel settore alta moda prima di stabilirsi per un'alcoolica vecchiaia in via Alessandria. Fornito d'una voce mansueta, degna della paradossale ed irrispettosa corrosività di quella del Lucci iena televisiva, agisce con una grazia oppiacea, con la serenità dei saggi dalla barba bianca e dal volto candido.

Elargisce consigli interessati su cosa metter tra i denti, dispone di chi è cliente conosciuto con l'agio del direttore dei lavori.

Se le sue mani si muovono con fare religioso, se il suo linguaggio rivela una sanguigna romanità, il suo pensiero è perennemente tra i cuscini del suo sonno, e sotto d'essi, dove è certo ch'egli custodisca il suo patrimonio. Guarda in alto, mani dietro la schiena, spalle poggiate al muro, pensando a quando potrà carezzar di nuovo il suo bottino.

Despota illuminato circondato da una corte fatta di cane al guinzaglio, moglie al lavoro, figlia in scooter nei paraggi, clientela fedele e ligia alle sue direttive, ed un numero di giovani cameriere il cui numero cresce in rapporto inversamente proporzionale alla permanenza delle stesse tra i tavoli del locale. La durata del loro contratto di lavoro è un altro dei misteri che ogni fedele sarebbe lieto di conoscere.

Tuttavia, sia lodato Antonello se è consentita sotto previa richiesta la degustazione di toast profetici, da consumare in gruppo, a piccoli morsi, solo al momento in cui la sottiletta al suo interno ritorna fredda e la pietanza fa così avvertire un piacevole sentore di raffermo.

Contraltare al Nostro, un'altra figura ha eletto il Bandana come terra per riempire al meglio quel che resta della giornata una volta che la luce solare si è data alla fuga. Un buco nero d'origine sconosciuta, di colore ovviamente uniforme, scuro in volto, così come forse in cuore, s' oppone alla solarità finora descritta.

Il suo profilo professionale ci è ignoto, ma Rocco, con mezza pinta in mano e sembianze che ricordano Salman Rushdie, barba ed occhiali a protegger da una viva emotività il suo volto, fa sempre la sua teatrale apparizione tra i tavoli del pub, a testa bassa e con attitudine sempre identica.

Nero nell'abito, buio nel portamento, s'aggira per il locale, dentro, fuori, nei dintorni, per lunghe ore. Il suo riservato contegno è quello di chi è consapevole che una certa tristezza gli è diventata amica ed ora si suppone in inesorabile espansione?

Seppur di natura ed estetica sì differente, come se il Bene ed il Male ogni tanto s'incontrassero e si dilungassero a colloquiare, le nostre due facce prendono spesso contatto, s'avvicinano, fanno il punto della situazione sulla soglia d'ingresso.

Poi c'è Ariel, non un ologramma della sirenetta di disneyana memoria, ma un sano ingenuo elemento riequilibratore di quei profitti che altrimenti sarebbero troppo sbilanciati a favore delle finalità affaristiche del Signore del luogo. Lo si vede trafficare tra le luci al neon della cucina, ma nel pomeriggio si sposta dietro il bancone, ed è nei pressi della cassa che dà il meglio di sé.

Come a vigilare sul bere giornaliero, un uomo dinoccolato e perso passa ripetutamente nei pressi degli ingressi del locale, lanciando i suoi occhi fin oltre le sue orbite, ansioso di vedere o agitato dal suo aver troppo visto. Barba incolta, sguardo furioso ed allucinato di chi sa di continuo inveire contro i noti santi e la madonna per la sciagurata esistenza nella quale è ora o tuttora imprigionato, egli compie un percorso circolare, circumnavigando l'isolato e riproponendosi dunque sempre nella stessa direzione. Egli ripassa, non ritorna.

Quella tracciata è solo una breve e parziale cavalcata tra le figure umane di questo luogo dove si mescolano con naturalezza gesti dal sapore divino e quotidiano alcolizzarsi da Guiness Pub.

Nuovi episodi seguiranno, se ci sarà lecito sopravvivere all'impatto con i piatti del giorno, il cui prezzo rimane ignoto alla massa dei fedeli clienti fino all'ora in cui un dolcetto al cocco addolcisce l'amaro, fino al tempo in cui uno scontrino comunica quanto cari da pagare saranno i nostri peccati.



mercoledì 5 novembre 2008

Massaggi mentali

Sam cerca chi gli possa offrire un massaggio mentale, poiché fa fatica a scandire le parole, ad occupare per esse e per sé stesso il posto giusto nel discorso, poiché trova arduo trovare un soggetto alla frase.

Sam si mette a contare, o meglio ad enumerare, ad affiancare un'ipotesi d'operazione ad un' altra. Ad antologizzare virtualmente, le vie possibili, per estrarne infine l'opzione migliore.

Non ha fatto che dirsi come impiegare quell'incerta giornata che aveva l'aria di non voler iniziare.

Frastornato dal suo troppo chiedere, preferirebbe acquietarsi e non fare troppe storie, mettersi in testa che ad un altro giorno ordinario si può sopravvivere con un certo autocontrollo ed un minimo spirito di sopportazione.

S'avventura in cantilene frutto di quella osservazione delle traiettorie sociali che si può fare restando alla giusta distanza.


Chi vuole può entrare

in contatto

in contrasto

in rotta di collisione

in comunicazione


Chi vuole può entrare

in azione


Potrebbe farlo ma poi non lo fa. Recede dal suo intento. Se ne rammarica a lungo ma preferisce passare oltre per non intaccare lo scivolare piatto della giornata.

Poiché il masochistico nutrirsi di rimpianti sembra che serva a rimpinguare il suo serbatoio di storie e temi, a volte lascia che l'occasione gli passi davanti, la guarda avanzare, ne immagina i contorni, poi l'abbandona al suo percorso sconosciuto verso il quale corre.

Nella grande città manca un posto, o meglio manca un tempo. Manca l'aria d'una nostalgia che è di leggerezza, non di giovinezza.

lunedì 3 novembre 2008

Dire la tua, dare la tua


Sam si confronta con l'imbarazzo di far propria la facoltà di giudizio. Preferisce starne a distanza, in tempi come questi in cui la si considera a ragione contaminata dal virus della facile opinione ed in più corrotta da un subdolo abbellimento che lo spirito del tempo impone al suo carattere altrimenti feroce.

Il giudizio così costruito s'espande tra gli accreditati alle visioni che affollano il bus del rientro da un luogo di festival in cui si concentrano con maggiore evidenza le ipocrisie in giacca e cravatta.

Ci si accredita ma ci si dimentica delle credenziali da portare con sé al momento richiesto.

Ed allora si cerca una situazione e se ne parla. All'occasione se ne può far qualcosa. Sempre comunque una parziale ri-costruzione. Si racconta una storia, la Storia, la trama, il plot, il succedersi degli eventi, l'inizio, la fine. I punti forti e quelli deboli. Quelli mancanti. I volti recintanti, la prossimità o meno alla vita reale. Si seleziona dal catalogo in dotazione il metodo d'analisi più adatto all'oggetto in questione. Ci si dota di categorie estetiche pericolosamente traballanti.

Ci si dimentica d'ammutolirsi.

Poiché se fosse sopravvissuto ancora un certo bipolarismo, una certa rivalità tra attivismo e passività, ci si sarebbe accorti che l'opera era là, si era fatta vedere, e noi forse non avevamo fatto altro che averla vista.

Esercizi di mondanità popolare

Animati turbamenti prendono corpo nell'incedere brillo della serata, procedono a passo lento, s'insinuano nel corpo affaticato del bevitore acclimatatosi nel luogo d'accoglienza.

Quel che si dice è un proclama delirante che taglia corto con la realtà e si interessa di quella vita minima che quattro anime riunite posson mandare avanti intorno ad un tavolo.

Non ci si ferma che davanti l'orologio, non ci si arresta che per paura della trasgressione cieca. Non ci si limita se non dopo consultazione con il portafogli amico in dotazione.

Si va avanti per affondare meglio nella verità dei fatti, per penetrare con più coraggio nella perfidia delle azioni da intraprendere di comune accordo, con unità d'intenti, con speranze condivise e condivisibili.

D'ora in poi si prega di lasciar spazio all'inintellegibile.

L'Amarcord del caso non è il solito mortifero gioco del rincorrere gioie passate, ma è una birra dedicata a Federico Fellini, illustre figlio di Romagna, prodotta ed imbottigliata a Falciano, San Marino e bevibile a 6 euro ogni 50cl, ben comodi in sedia alla fine d'un altro venerdì, mentre la tempesta rimane fuori e dentro noi ad ogni nuovo sorso s'alza l'ebbrezza, non si fa più sentire la fatica e s'intravede non troppo lontano un arresto per sorpasso a cento all'ora dei limiti di decenza alla guida della propria vita.

domenica 19 ottobre 2008

Attimi di felicità. Un'euforia inenarrabile, una follia inarrestabile

Sam tenta un nuovo record di profondità mentale, discesa a fondo in apnea in assetto variabile, trattenendo il respiro fino ad inevitabile scoppio di risa finale, giusto quanto dissacratore della serietà dei temi trattati, della gravità dei tempi attraversati.

Sam medita di compiere un atto deciso, un gesto di rivolta.

Pensa d'occupare sé stesso in risposta al suo atteggiamento passatista ed incapace di trasformare in rabbia produttiva tutto quel magmatico progettare cui destina le sue giornate.

Pensa ad un movimento di sensibilizzazione capace di rimettere in discussione quei provvedimenti presi senza attenzione che vanno ora subdolamente ridistribuendo le risorse in suo possesso, privilegiando l'alcol alla visione in sala, il discorso al tavolo piuttosto che quello con il libro.

Sam propone un'occupazione di sé stesso, poiché vede crescere in lui la tendenza all'amorale disimpegno che lo porta a far sì che siano gli altri a prendere decisioni e che sia lui a pagarne le conseguenze.

Pensa ad una sospensione delle attività usuali per permettersi di guardare intorno come la realtà si allontani da una facile ordinaria lettura, per provare a prender maggior coscienza del posto che occupa, di quello che non occupa.

Per mettersi davanti a quello che non lo preoccupa e decidere se trastullarsi ancora oppure non farlo più.

Naviga nel traffico e s' imbatte in camion a vela che veicolano muti messaggi d'ebbro folklore, sintomatico esempio dello stato turbolento delle nostre acque:

Santo Padre, la imploriamo, salvi noi tutti! Pubblichi l'intero terzo segreto di Fatima!

E poi, su lunghezza d'onda di altra portata:

1968. I sogni dei padri ricadono sui figli

Sam comprende che la sua barca a remi rischia di non reggere alle intemperie che stanno per giungere. Leggere, informarsi, partecipare indirettamente forse non è abbastanza per manifestare il suo dissenso e la sua presenza in mare aperto.

Non ora, non più.

sabato 18 ottobre 2008

Lascia tracce solo chi è irrintracciabile


Sam lascia tracce, un po' ovunque. Non vorrebbe sparire troppo presto. Non vorrebbe finire a esser contattato solo da se stesso. Sam propone e si propone. Alla tensione o all'attenzione. Al desiderio ed all'improperio.

Sam commenta ma non esprime opinioni, va a vedere ma non fa uscire fuori giudizi affrettati. Medita, rimastica e poi rimescola l'appena trascorso con quel che nella sua enciclopedia è in archivio già da tempo.

Pecca d'irrequietezza anche se appare quieto seduto in panchina, in pace con il mondo e con la sua interiorità. Freme d'attivismo inutile, di quel gioco al ricamo astratto che di tanto in tanto gli pare essere la lingua scritta.

Agisce sottotraccia, tacitamente lascia partire i suoi segnali. Attende risposte ma si sforza di pensare le sue azioni come un'offerta che non richieda una contropartita.

Prova ad allargare la sua visione delle cose e tenta di farsi osservatore ironicamente oggettivo del traffico che gli riempe le orecchie, quella sincopata disarmonia di motori e rumori, di strilli ed urla, di passi e tacchi, di umani e di non umani con la quale è solito ferire il suo corpo durante il soggiorno in città.

Come bicicli mutilati di ruote e sella, eppure ancora ben ancorati con catena al palo, noi persistiamo nel rito del chiuderci a chiave, sbandieriamo i nostri vessilli di privacy, delicatezza, imbarazzo e abbiamo cura di conservare la nostra sicurezza, la nostra integrità, salvo accorgersi fuori tempo massimo che gran parte di noi è già andato perduto, che i ladri son passati senza che ce ne si potesse render conto.

Passa con curiosità davanti lo specchio del suo nuovo riparo urbano. Fa in modo d'imbattersi in qualcuno che gli assomigli, là, oltre il vetro. Lo fa con piacere e passione, affinché con il suo presunto simile possa domandarsi vicendevolmente il perché di quel diffuso e continuo cercar soluzioni all'impossibile.
Un rodersi con insistenza che rende l'oggi nevrotico e non più pregno di quella grazia forse solo utopisticamente immaginata cui erano portatori i nostri predecessori, coloro che del lasciarsi semplicemente trasportare dalla corrente delle cose non facevano un problema d'insufficiente presenza in vita.

venerdì 17 ottobre 2008

Anatomia della sprovvedutezza


Nei pressi di chi s'appresta ad iniziar il discorso si registra sovente una perturbante perdita del soggetto, o meglio una moltiplicazione e successiva dispersione dello stesso, in favore d'uno smarrimento che non è quello della pecora, ma piuttosto quello dell'errante, felice di non sapere dove andare, come farlo, con quale parte di sé procedere.

Le modificazioni cui va incontro, suo malgrado, la direzione del proprio irrisolto ed irresoluto discorso interiore, il livello variabile della coscienza, quello dell'entusiasmo, quello della pazienza, ed ancora i gradi diversi di accessibilità delle mete cui con una certa approssimazione egli vorrebbe approdare, ne modellano persistentemente i confini, rendendo vago il suo agire, meditabondo e poco chiaro il suo procedere.

Il disordine come motore dell'azione e dell'inattività fa sì ch'egli veda impiegar i suoi giorni a cercar quello che avrebbe dovuto non perdere, non tralasciare, non dimenticare molto tempo prima.

Attitudine squalificante poiché altamente improduttiva secondo i canoni correnti d'efficienza monetizzabile, il lasciar le cose fuori posto gli apre tuttavia la strada per un approccio inedito e ricco di sorprese verso quel che attornia la sua vita di ordinatore di disorganizzazione tra oggetti, di cacciatore d'immagini e di corrispondenze, di viaggiatore dotato di mente ma ben avviato a farsi all'occorrenza macchina in cortocircuito tra le macchine in marcia, congegno senza regole all'interno del sistema.

Egli agisce tentando di ribaltare l'ordine delle cose, facendo in modo che ciò che appare segno di squilibrio e di reticenza all'impegno regolare, diventi in tal modo strumento di rivendicazione per un differente percorso esistenziale.

Non sente l'esigenza di facili ombrelli, a protezione della sua labile integrità. Preferisce piuttosto che la vita gli piova addosso, lo immerga di stimoli, lo coinvolga nell'impeto del suo costante turbinio cangiante. Non sta fermo in tettoia ad attender che la tempesta sia passata, bensì s'impegna affinché la sua solidarietà con gli agenti atmosferici non risulti vana.

mercoledì 15 ottobre 2008

Degustazioni

Sam s'appresta a nuovo sonno, medita su come a volte gli stia stretto o quasi straniero il chiacchiericcio da pub, il gioco ironico e spavaldo a dirsi e farsi vincenti perdenti.
Vince chi fa la peggiore figura, perde chi non entra in gioco, resta troppo prudente, non s'arrischia in approcci sconsigliati dal buon senso.

Condividiamo i nostri sbadigli, spalanchiamo le nostre bocche con misurata sincronia, studiata gestualità, posata ritualità. Facciamolo faccia a faccia, affinché le nostre noie e le nostre fatiche possano agevolmente trasmigrare da un corpo all'altro.

Facciamo dei nostri scarabocchi su carta immacolata la traduzione grafica del percorso caotico dei giorni sregolati cui siamo protagonisti parzialmente consapevoli, nettamente incantati, a tratti illuminati, a tratti illusi. Sempre condizionati. Dal volere o dal dovere, dal desiderio o dalla legge, dalla bellezza o dalla paura, dalla fame o dal sonno.

Teniamo ben pressate le nostre guance, a contatto con il palmo di mani, deformate dal peso delle nostre preoccupazioni, riscaldate dall'alcol ingerito.
Lasciamo che i nostri gomiti continuino a disporsi sulla superficie lignea del tavolo assegnatoci, che i nostri piedi si muovano nervosamente sotto di esso.
Narriamoci le nostre avventure, infarciamo il discorso di volenterosi <Ho fatto>, <Avrei voluto>, <Mi piacerebbe>.

Partecipiamo alla degustazione di toast profetici, da consumare in gruppo, a piccoli morsi, solo al momento in cui quel che era ben caldo torna gelido, la pietanza invitante fa avvertire un sentore di raffermo ed il nostro stomaco si dice onorato dell'arduo compito cui sarà destinato.

Scossi di come l'estate sembra stia per arrivare a metà ottobre, di come ci si dimentichi dell'assenza di vita in un autobus sovraffollato, in una città intrappolata dal traffico, in una giornata incastrata d'impegni, ed infine ci si consoli di quanto sia ristoratore lo stendersi nudi su un pavimento freddo, non ci attardiamo in progetti, lasciamo che libera proceda l'avventura.

Mi fa il conto degli intoppi di giornata, per piacere?
Ma solo in contanti, poiché quel che si perde deve esser ben evidente alla coscienza.
Confessiamo a noi stessi il diritto di parlar al muro, di immaginare una stanza vuota ed un'azione che non abbia niente da dire.

giovedì 9 ottobre 2008

Come ha detto?


Quando si deraglia fuori dai binari della quieta attesa


Mi può timbrare il biglietto?

No, no...lo deve fare con i suoi denti!


Mi scusi, mi può far sedere?

No, no...dicevo su di lei!...Mi fa sedere sule sue gambe???


Mi fa vedere?

No, no...non dicevo il libro...mi fa vedere i suoi occhi?


Scusi, mi fa parlare?

No, no..vorrei parlare al suo telefonino


Mi fa appoggiare?

No, no...dicevo sulla sua testa!


Mi fa compagnia?

No, no...dicevo al suo cane


lunedì 6 ottobre 2008

Fuori fuoco


È sfocata la lente dei miei pensieri, è fuori fuoco la percezione del vero.

Eppure si prova a far uso dei propri sensi, di quel che gli occhi portano alla luce (o di quel che la luce porta agli occhi).

È indistinta l'immagine che ho davanti. Non si tratta di lenti, non si tratta di gradi.
Quel che c'è non può vedersi che di tal fatta, inafferrabile, sgusciante, imprendibile e misterioso.
Catturare la luce , un gesto che alcun umano può compiere.
Annaspiamo, procediamo a tentoni, mentre le palpebre s'aprono, tentano di render possibile la verifica.

Dove siamo, finiti o infiniti?

Essere a bassa risoluzione
è
non vedersi bene
è
non risolversi
nel campo del visibile
è
mancare di nettezza e completezza.

La non appartenenza ad una linea o ad un obiettivo illuminato ti spinge nella corrente, ti immerge in una lieta fatica psico-fisica, nella frastornata perdita d'equilibrio nelle azioni quotidiane.

In questo mondo non ci vedo chiaro.

Cerco il centro ed il centro non c'è.

Vorresti lanciarti verso la certezza, ma l'obiettività è fuggita via.

venerdì 3 ottobre 2008

Ci si affaccia


Ci si affaccia davanti al proprio destino. Lo si guarda dritto. Invisibile, impalpabile, inafferrabile.

Gomiti sul davanzale, comodamente osservi, posizionato in quello spazio metafisico che ti mette in contatto con quello che sta dentro ed insieme fuori.

Ci si gode da un'ottica privilegiata la vita che avanza.

Ci si sporge in avanti, con cautela. Si prende in considerazione la tenera romantica idea di buttarsi giù, di finire in volo il proprio discorso.

Vediamo se la mia ora sta passando di qua, vediamo se mi riesce di riconoscerla!

Potrebbe essere in arrivo, ma non penso t'avvertirà quando sarà giunto il momento!

Non passano più a trovarci i momenti felici

No, è solo il tempo a passare adesso

Cartografia mentale d'un ritorno


Cartografia mentale d'un ordinario percorso di ritorno

Tappe successive d'una corsa verso l'illusione del riposo


17.00 – partenza dal Circolo Casetta Bianca. Borsa e coscienza sulle spalle


300 passi a piedi in ripida salita


Salto mortale nel traffico di Via Cassia: attraversamento lontano da strisce e semafori

In banchina, in panchina: signora insospettabile, venerabile per quantità di rughe sulla pelle, compie gesto inconsulto e getta cicca di sigaretta tra i binari


17.14 – FM3 La Giustiniana . Treno in direzione Roma Ostiense.

Sole al tramonto dritto negli occhi. Come è forte, quanto è salda, la mano enorme della statua nera. Tiene in braccio con mitezza la figlia. Non accenna ad altra azione che non sia

quella di guardarsi i piedi con composta insistenza

Due dita a coprir le labbra, il pollice ad accarezzare il mento. La giovane disordinata con la quale condivido il viaggio stuzzica i denti, stuzzica i passanti


17.36 – stazione metro A Valle Aurelia.

5 lunghe rampe di scale per finire ampiamente sottoterra.


Un treno semivuoto in direzione Sud. Occhi bassi su nuove pagine da leggere. Il free-press Ventiquattrominuti fa da catalizzatore e monopolizza quasi tutti gli occhi provvisti

d'altra carta stampata. Radi i libri tra le mani, rari i quotidiani del mattino.

Volti esausti fanno esercizio di resistenza


Con lenti nerissime ed umore ancora più cupo, la passeggera che mi sta accanto sfoglia selvaggiamente e con il meritato irrispetto un DiTutto infarcito di provinciali gossip


  1. – Stazione Anagnina, capolinea metro A

    Un bicchiere di latte freddo al bar più lontano.

    Constatazione amara del degrado della fauna degli avventori

    Avanzano nuove generazioni ignare d'ogni cultura libresca


  1. 39 – 551 bus direzione Vigne di Morena


Fai vincere Roma, Rutelli sindaco, è manifesto sbiadito, è proposta stracciata che ancora campeggia logora sui muri d'un cavalcavia


Mescolarsi del rosso del cielo al fondo di giornata con l'eguale tinta presenta sul semaforo


18.55 – via Castelsilano. Fine del tragitto.



martedì 30 settembre 2008

Fenomenologia d'una banchina d'attesa


Teso sollecitar vacuo d'energie destinate a paziente spreco

Svuotarsi progressivo della residua resistenza mentale

Banale ripetersi della medesima azione

declinata in tempi e modi diversi

Chi s'indigna del ritardo

chi non ci pensa

chi dimentica di star aspettando

chi si distrae

- osservando leggendo ascoltando -

chi cerca d'integrarsi

    chi aspetta con pazienza

    - si difende fumando e cantando -

chi prova a far discorso da navigato viaggiatore

e chi lo fa da presunto inesperto

chi arriva all'ultimo istante

di corsa

l'estasi d'un sorriso compiaciuto dell'approdo guadagnato

( se le porte si chiudono dopo il suo ingresso)

lo sgomento disperato e sovraesposto di rabbia

(se le medesime porte si serrano troppo presto).


Sarà necessario aspettare ancora.

Odissea Immobiliare

Sam senza casa, senza tetto, senza pace. Sam naufrago s'immerge in una nuova Odissea immobiliare. Senza epica rimane un canto stonato e vernacolare di sirene che si dicono agenti immobiliari, un mare in tempesta fatto di veicoli strombazzanti e nervosi, di fumi irregolari e contatti atipici.

Le porte d' abitazioni altrui si aprono alle visioni straniere, ti lasciano entrare, poi vorrebbero fagocitarti tra le loro mura in vendita. Il vento soffia forte e mi porta nella regia lontana del mio Alcinoo di città. Teniamoci al riparo, al coperto di mura amiche fino a quando non sarà ora di tornare o trovare la nostra Itaca.

Porta Portese è un campo minato, una novella Circe che trasforma i lettori in automi capaci di segnalare la convenienza o meno d'un annuncio, d'una via, d'un prezzo, d'un affare. Si va per esclusione e son gli altri a tagliarti. Tu provi, contatti, contratti, insisti.

Cancelli uno spazio d'armonia dopo l'altro. Una nuova opzione di quiete da abbandonare. Un altro numero da cancellare. Traccia una linea anche su quest'annuncio. S'assottigliano le possibilità mentre passano i giorni.

Si continua, ci si logora, si pensa d'esser sull'orlo d'un non ritorno.

Eppure ogni Odissea trova infine la sua terra promessa da (ri)conquistare dopo innumerevoli fatiche, riempendo la ricerca di abbagli di diverso genere, di falsi movimenti ed avventate scelte, di fittizi collaboratori ed ostacoli naturali di cui se ne ignorava l'esistenza.

Non splendente come nelle previsioni, non gloriosa come nell'immaginazione, a costi non preventivati ma necessari, si arriva infine alla meta. Una meta minore, non un ripiego ma il risultato del volerla smettere per un po' con la precarietà della corsa verso il luogo ideale.

Lo spazio conquistato diventa proprio quello non cercato, all'ultimo piano dell'ultima corsa, vicino al cielo, vicino al fiume

Girare intorno

L'ora è tarda ma i pensieri sono ancora in giro?

Nel giro di pochi minuti, la fine potrebbe arrivare.

Ci si vede in giro mi disse la musa dispettosa, ed iniziai allora con un certo stupore ad indagar con deciso spirito su dove potesse trovarsi questo vago luogo.

Designa un luogo mentale, ma per esser certo chieda in giro, mi consigliarono al bivio tra senso e non senso.

Ci si perde in giro!, piuttosto, mi suggerì un coro di voci tra la folla indistinta che andavo interpellando.

Ci si prende in giro, confessò mestamente uno dei fantasmi incontrati durante la ricerca.

Suonano sinistre le campane per chi è ormai fuori dal giro.

Sarà per il prossimo giro, m'augurò infine bonariamente una sorridente fanciulla che aveva fatta sua l'intera mia avventura.

lunedì 29 settembre 2008

Mal Umore


Un mal umore

presentato con clamore

ammirato con tepore

colpito nell'onore

si è mosso con stupore

ed autentico fervore

nominando con furore

un degno amore

come successore

d'alto spessore

sabato 27 settembre 2008

Spacciarsi

Esercizi patetico- ironici di nostalgia prevetiva
ad uso di lettori che navigano spediti verso un impossibile tramonto

Noi che ci credevamo capaci di grandi imprese
Noi che ci spacciavamo per arguti cercatori d 'abitazioni
Ora ci diciamo spacciati,
per un cattivo uso dello strumento della fiducia,
per una non preventivata veloce estinzione dello spirito collaborativo e solidale
tra un abitante della terra ed un altro suo simile.

venerdì 26 settembre 2008

S-componiamoci


Scomponiamoci per il bene della nostra pluralità.
Farsi scomposti per non dirsi decomposti.
Non facciamoci a pezzi ma diciamoci (fatti) a pezzi
Spezziamoci nel seguire la molteplicità delle vie possibili
Mandiamo una parte di noi ad allenare il corpo, un'altra a stuzzicare i sensi, una terza a riempir il serbatoio di conoscenze intellettive.
Mandiamole a spasso sopra le nuvole, tra i fantasmi del passato, i tavoli da pranzo o i campi da gioco.
Facciamo da esempio a chi non si scompone mai.
Non allarmiamoci se una di queste evidenzia una forte tentazione a fuggir lontano, a fuoriuscir da me e non prender più in considerazione le parti compagne.
Ad unir le fila, a ricondurre all'ovile le pecore disorientate dal pascolare senza indicazioni, ci pensa l'impeto del fiume che s'ingrossa a fine giornata , accoglie in sé tutti gli affluenti e fa in modo che la mandria degli Io di giornata si riposizioni ogni notte, almeno per qualche istante, ad ammirare lo spettacolo vuoto ed assordante d'un soffitto bianco ed immobile

giovedì 25 settembre 2008

Ri-considerare


Ri-considerare

il gioco della richiesta e dell'offerta

le modalità di

relazione

la nozione di

comodità

l'illusione di

necessità

il bavaglio della

dignità

la scorciatoia dell'

opportunità

la scadenza dell'

ospitalità

la mancanza di

tempestività

la perdita di

giocosità

l'importanza dell'

autorità

l'ipocrisia della

legalità

la naturalezza dell'

insanità

lunedì 22 settembre 2008

Le nostre carrozzerie violate


Risvegli ammaccati come le nostre carrozzerie violate. Trasformati in automobili da rottamare, per evidenti conseguenze di scontri dalla diversa caratura.

Ora figuriamo doloranti, in posa, a farsi fotografare i lividi metallici da artista pronto a scattare e ad immortalare la superficie non più lineare dei nostri gusci protettivi.

Eravamo dalla pelle liscia e delicata prima che il traffico sclerotico del mondo ci facesse diventare ruvidi e scorbutici.

Distribuivamo sorrisi fiduciosi ed ora i fari sono appannati da compromessi che ledono la limpidezza dei nostri sogni.

Sfrecciavamo rapidi e prestanti sull'asfalto prima che agenti estranei si frapponessero con fare arrogante al centro della via.

Dei nostri motori giovani ora non rimane che il ricordo impresso in gesta antiche ed echi lontani.

Meglio farsi da parte se la lotta non suona una melodia gentile, se la disputa non viaggia su mari calmi, quieti, baciati dall'eleganza.

Se ci si infiamma nel momento sbagliato e poi si finisce a scoppiar di rabbia o di dolore.

Traslocarsi

Smottamenti da cambio di residenza. Sam parte da lontano per non tornare dov'era, per ritrovarsi o riperdersi nei pressi di quel centro che ha perso l'equilibrio, di quella capitale di cui non ritrova le coordinate vitali.

Istantaneo crollare di certezze al momento in cui il sentirsi senza un tetto – spalle gravate dal peso d'una borsa colma di vita, stomaco vuoto di pietanze di famiglia, gambe annoiate da ore di inattività a vano fine - diventa palese, non rimandabile, evidente, pressante.

Sam si incammina, ma non sa ancora dove finirà per trasferire sé e le sue attività vitali.

Turbamenti da ricerca debole, mutilata da ristrettezze economiche, mitigata o funestata da patteggiamenti con esigenze di sorella, addolcita dal supporto di chi promette abbracci, costeggiano da vicino, minandone l'armonia, il suo passeggiare beato da flaneur in ritardo sui tempi.

Ancora in transito, tuttora di passaggio, piuttosto fuori posto, fuori luogo o senza luogo.

Non ha in mente lo spazio di cui vorrebbe fare la conoscenza. Né il soffitto che farà compagnia alle sue notti. Non osa immaginarlo.

S' intristisce nel pensar come debba riprender ancora la lotta al limite di regola che, come lupi ed agnelli nevrotici, incarogniti, furbi e teatranti, coinvolge locatori ed affittuari, proprietari senza remore e studenti senza appoggi, vincitori e vinti, in un vortice malsano di speranze triturate.

Famo un contratto. Famo un patto. Famo un ricatto.

Non è che posso paga', non è che posso regala', non è che posso assicura'

Sotterfugi di vario fascino e disintegrata natura popolano le indagini. Ci si fa beffa delle imposte statali, si nega all'uomo una minima dose d'umanità, si cancella la dignità dalla propria carta d'indentità.

Stringiamoci la mano, sorridiamo alla nostra innocente promessa, moriamo lentamente nel dirci pronti a firmare, ad abitare, a pagare.

Facciamo finta di vivere pensando ai collegamenti possibili, ai tempi di percorrenza, a come potremo spender bene i denari rimanenti. Facciamo finta di far delle esperienze, di provare delle emozioni, di mandar avanti dei progetti, di costruire percorsi ed accumulare punti.

Aspettiamo fiduciosi il nuovo tradimento che presto o tardi, dall'alto o dal basso, non mancherà d'arrivare.

sabato 20 settembre 2008

Disponibile da subito

Affittasi al miglior offerente una vita tranquilla, in terra non contaminata da speculazione ed affarismo.

Affittasi anima a cuore privo di referenze.

Affittasi unità mentale rinnovata da lungo soggiorno in terra natia, ristrutturata con cura per mezzo d'un corretto uso degli eccessi più sani, accessoriata tramite ricorso continuo ad ogni campo cui la curiosità conduce.

Si loca ad ore a mesi ad anni a tempo indeterminato. Abitabile da subito. Affinché il soggiorno al suo interno risulti gradevole e produttivo, è necessario che le sia consentita una prolungata esposizione alla luce delle menti altrui.

Vive rigogliosa funzionale splendente solo se non lasciata in stato d'abbandono.

Per maggiori informazioni contattare l'affezionato curatore che di nome fa Pensiero, in tempi e luoghi che prescindono dalle consolidate abitudini mercantili in cui di solito ogni patto viene stipulato.

mercoledì 17 settembre 2008

Prendere la mira


Conservar lo stato di viaggio,
sospendere la quotidianità per farsi trasportare in itinerario non indicato su guide turistiche.
Constatar che l'isola promessa è sempre all'orizzonte,
il film pensato è sempre da girare,
la mano che sogni è celata in tasca,
il livello successivo è ancora da superare.

Consulti il tragitto e noti come del tuo cervello nessuno faccia menzione,
non una nota ne indica i meandri,
non un segnale ne indirizza l'esplorazione.
non un avvertimento sulla pericolosità di sbatterci contro.

Nessuno è ancora passato da qui, dunque, confesso orgogliosamente, sarà compito mio portar avanti le ricerche, avanzare con circospezione tra scogli neri fatti di grigie meditazioni ed impetuose colonne d'aria che spingono in alto quel vortice colorato e non controllabile delle idee popolanti tale misterioso luogo.

Troverò qualcuno che sembra me, che mi apparteneva ed è già andato.
Troverò qualcuno che sta per arrivare, mi farà strada e si farà da parte.

Posti occupati



C'è chi va controcorrente, non cerca più occupazione, poiché del prendersi cura d'un' altra anima, d'un'anima altra, ha fatto la sua ragione d'avanzare.



Posso occupare il tuo spazio?

E' tuo

Già occupato da te

Pienamente dis-occupato da quel che non ti riguarda


l'Io sotto occupazione lirico ironico paranoico recita ogni sera una cantilena, a luci spente, a cuori aperti


Io mi occupo di te

come

tu occupi me

Facciamo occupazione

occupiamoci

rendiamoci occupati

Non accettiamo altra occupazione all'infuori di noi

tu ti occupi di me

come

io occupo te

Pre-occupiamoci

diciamoci occupati

Non consideriamo alcuna occupazione all'infuori di noi



lunedì 15 settembre 2008

Pensare un percorso, tracciare un sentiero


Pensare un percorso. Mettersi in mente un'idea e far in modo che sia tua guida.
O mettersi in mente che d'alcuna idea può servirsi la tua anima per andar avanti.

Zoppicare, inesorabilmente, tra un'intenzione un suggerimento un consiglio. Dar in pasto alle tue orecchie la fertilità ingenua o esperta del giudizio amico.

Come vuoi che proceda il sentiero?

Vuoi che si dispieghi in linea retta o slalomeggiando tra un impedimento e l'atro, sbandando con trasporto tra un lato e l'altro, distraendosi animatamente tra le diverse fasi del vedere e del capire.

Se azzardi il gesto avventato di offrirti con sprovvedutezza, il pericolo è disperder la tua carica in un indistinto volersi presentare, farsi vedere, mettersi in mostra, esporsi senza impalcatura solida alle spalle.

Quale logica segue il tuo cammino?

Dimmi, tu entri e poi attendi che qualcosa accada,
o attendi l'evento e poi entri a farne parte?

domenica 14 settembre 2008

Quando pensi di tornare


A - Sto guardando ...devo dire proprio niente male.

B - Ma che cosa guardi???

A - Mi guardo. Lo faccio con candore, con calore dello sguardo, con gestualità appassionata, di chi è intento con gli occhi ad abbracciare un corpo lontano

B - Ti guardi guardare??

A – E' il mio spettacolo preferito. Ho provato a prendere congedo dal voler essere. Ed ecco: adesso non sono!

B - Sei spettacolo di te stesso?? Lo spettacolo che te stesso cercava, agognava con la bava alla bocca??

A - Esattamente. Non ci sono e mi rallegro nel guardare quel tipo barcollante, senza direzione precisa, che prova ad essere se stesso, ovvero prova ad essere me, ad essermi, direi...

B - E quando pensi di tornare, visto non ci sei???

A – E' la contingenza, è la congiuntura sfavorevole a non permettermi di (non) tornare sui miei passi, o meglio, di tornare dentro i miei passi...

B - Buona sia la tua ricerca allora...ti auguro di non trovarti, se ti riesce in tal modo di continuare a ridere così di gusto!

A – Non dovrebbe cambiare la situazione, per ora... va per le lunghe..ciò mi immagino, mentre osservo, ed insieme di questo mi inquieto. Non ci si sposterà dallo stato di non presenza, fin quando almeno mi accorgerò di non essere che altrove dal luogo in cui mi trovo.

B – Hai bisogno d'un coraggioso atto di cannibalismo! La vita dovrebbe mangiare questa tua presunta coscienza di non essere (in vita)...
Dovrebbe mangiar te, farti accomodare nella sua grande pancia dove si fa quel che si fa e non quel che si dice di fare...

venerdì 12 settembre 2008

Stendersi


Si stendono i progetti sul tavolo del futuro, li si appende al palo del dubbio, li si proclama in silenzio, li si impicca al cappio della pigrizia, li si interroga al banco della paura, li si disegna li si cancella.

Li si confronta con i loro omologhi passati, con i finanziamenti concreti e spirituali di cui potrebbero giovarsi, li si nutre di nuovi numi tutelari, di nuovi modelli, di inediti percorsi, di forze fresche e risentimenti antichi.

Si stendono i progetti come fossero panni. Li si lascia all'aria affinché respirino, si facciano vedere, si riscaldino al contatto con gli occhi altrui, s'asciughino da tutte le impurità che il lasciarli per troppo tempo nell'umido limbo cerebrale avrà certamente provocato.

Si stendono tuttavia anche poiché oramai espressi, non più semplice nube potenziale che vaga nell'universo personale. Li si fa emergere e già non sono più loro. Sono il proponimento estemporaneo o meditato che quel momento suggerisce. Sono stesi e dunque forse non più capaci d'esprimersi, di produrre energie, di farsi, di completarsi.

Ci si stende a terra pensando a quel che sarà, ma una volta stesi i progetti potrebbero essere non meno che morti.

Spazio


Pensare lo spazio

Spaziare

in lungo ed in largo

Fare spazio Farsi spazio

Cercare il proprio spazio

Spazio libero disponibile vuoto

Spazio occupato delimitato negato


Lasciare spazio, rubare spazio guadagnare spazio


Allargare lo spazio


Ridefinire riconsiderare riordinare lo spazio Misurare lo spazio


Spazio conteso difeso vilipeso

Lottare per il proprio spazio Concedere spazio


Spazio tempo Immaginare lo spazio del tempo


Occupare riempire gestire gli spazi




Andare nello spazio








Lanciarsi nello spazio


infinito


non finito


sfinito





Mancanza d'altro spazio

giovedì 11 settembre 2008

Indefesso


Talento depresso o inespresso?

Sono perplesso, non miro al successo!

Confesso

Mal messo poiché compresso

dal complesso

del dirsi in eccesso,

troppo spesso,

Fesso.

Concesso che il decesso

del nesso col sesso

ha in tal regresso

il riflesso.


mercoledì 10 settembre 2008

Entrare


Posso entrare?

Prego, si infili pure dove solo a lei è consentito l'ingresso.

Quasi tutto, ogni azione del relazionarsi sociale, intimo o ufficiale, bieco o elegante, illegale o regolare, ruota intorno a questa emblematica questione.

Entrar a far parte d'una classe, d'un gruppo, d'una casta, d' un'associazione, d'un circolo più o meno chiuso, d'una nuova famiglia. Valicare un monte, penetrare un corpo, oltrepassare una frontiera, immergersi in acqua, condividere lo spazio privato d'un pensiero, afferrare un'idea. Tutte azioni che rientrano nell'ordine dell'entrare.

Gli spazi chiusi che il regime di Proprietà privata impone legittimano tale dinamica, peregrino movimento collettivo ed individuale, dell'entrare e dell'uscire, del passare da un ingresso per finire in un altro, inedito o già conosciuto, ambiente.

Se spesso il passaggio è segno emblematico, cerimoniale e “storico” d'un dirigersi verso un'altra fase della propria esistenza, capita a più riprese, con frequenza progressivamente crescente, che questo spostarsi, trasferirsi, ri-locarsi, avvenga in modo tanto oscuro o impercettibile da non esser notato che a posteriori, quando la scia dell'azione è ormai visibile solo ad enorme distanza dal soggetto che l'ha compiuta.

La soglia da varcare, oltrepassare o viceversa da non toccare, da temere, è spesso più di livello psicologico che di natura fisica.

La fascinazione irresistibile verso ciò che è celato dietro la siepe, ciò che la vista non raggiunge con il solito agio, il solito acume, è molla emotiva di enorme vigore, capace di far viaggiare l'immaginazione verso lidi lontani.

Il discorso sui limiti interessa tutto il rapporto dell'individuo con l'autorità, quella statale, quella divina. Il senso della misura si scontra con la necessità di esagerare, il disumano voler non accontentarsi sfonda ogni buon senso per avventurarsi nel buio, nel varco lasciato vuoto dai manuali di visita pre-organizzata.

L'impervio cammino verso quel che c'è dall'atro lato irrompe come punto di domanda insistente sulle forme di vita possibili ove la vista non arriva. L'accessibilità al sapere, il suo progresso si disegnano dunque come una serie di porte chiuse a chiave da forzare, sfondare, eliminare, superare.

Una porta chiusa, la più muta o la più fascinosa, assume la significazione di barriera verso il conoscere, ed insieme diventa il nutrimento più grande per chi ama nutrirsi d'immaginazione.

Rubando sagge beffarde parole a Donald Barthelme, "Se il desiderio sparisce istantaneamente non appena la soddisfazione diviene facilmente accessibile, l'ondata della libido raggiunge il culmine solo alla presenza di un ostacolo".

L'antro oscuro, profondo o esperibile in superficie, difficilmente raggiungibile, inafferrabile, che una porta, una finestra, un ingresso costituiscono agli occhi e ai sensi di chi fa l'esperienza di meditarci per qualche istante davanti, agisce sull'intelletto come formidabile fertile impedimento creativo.