Per una sovversione congenita al grande evento e per una zavattiniana fede nell'eccezionalità d'ogni minimo gesto, Sam continua a sorvegliare vigile su ogni piccola azione che lo interessai e lo attraversi.
Come a frugare tra le varie ed eventuali di una scaletta i cui punti salienti restano sempre materia astratta, si convince che è proprio attraverso la minuzia o il frammento che si riesce a far un passo avanti.
Oggi non è scivolato, diversamente come la sua mente aveva immaginato, in una di quelle foglie ingiallite e copiose che, ammirabili, facevano da tappeto organico in via Zabaglia. Una tra quelle che ornavano il marciapiede bagnato che, tra le mura d'una scuola chiassosa ed un parcometro sempre pronto a mangiar altri denari per mantener alto l'onore comunale, porta verso la Piramide.
Erano le 13 e pochi minuti d'un giorno di metà dicembre quando il fatto non accadde. Sam camminava a ritmo mediamente sostenuto, poggiando i suoi stivali con tacco rumoroso ed insieme i suoi sguardi meticolosi su quella superficie dalle premesse così generosamente viscide ed ostiche che, dei tanti possibili spiragli d'evento cui quella circostanza poteva dar il via, ha nondimeno lasciato filar tutto liscio, senza lo squilibrio o la sbavatura tanto attesa, perpetuando il perenne rincorrersi del niente succedente al niente
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