Posso entrare?
Prego, si infili pure dove solo a lei è consentito l'ingresso.
Quasi tutto, ogni azione del relazionarsi sociale, intimo o ufficiale, bieco o elegante, illegale o regolare, ruota intorno a questa emblematica questione.
Entrar a far parte d'una classe, d'un gruppo, d'una casta, d' un'associazione, d'un circolo più o meno chiuso, d'una nuova famiglia. Valicare un monte, penetrare un corpo, oltrepassare una frontiera, immergersi in acqua, condividere lo spazio privato d'un pensiero, afferrare un'idea. Tutte azioni che rientrano nell'ordine dell'entrare.
Gli spazi chiusi che il regime di Proprietà privata impone legittimano tale dinamica, peregrino movimento collettivo ed individuale, dell'entrare e dell'uscire, del passare da un ingresso per finire in un altro, inedito o già conosciuto, ambiente.
Se spesso il passaggio è segno emblematico, cerimoniale e “storico” d'un dirigersi verso un'altra fase della propria esistenza, capita a più riprese, con frequenza progressivamente crescente, che questo spostarsi, trasferirsi, ri-locarsi, avvenga in modo tanto oscuro o impercettibile da non esser notato che a posteriori, quando la scia dell'azione è ormai visibile solo ad enorme distanza dal soggetto che l'ha compiuta.
La soglia da varcare, oltrepassare o viceversa da non toccare, da temere, è spesso più di livello psicologico che di natura fisica.
La fascinazione irresistibile verso ciò che è celato dietro la siepe, ciò che la vista non raggiunge con il solito agio, il solito acume, è molla emotiva di enorme vigore, capace di far viaggiare l'immaginazione verso lidi lontani.
Il discorso sui limiti interessa tutto il rapporto dell'individuo con l'autorità, quella statale, quella divina. Il senso della misura si scontra con la necessità di esagerare, il disumano voler non accontentarsi sfonda ogni buon senso per avventurarsi nel buio, nel varco lasciato vuoto dai manuali di visita pre-organizzata.
L'impervio cammino verso quel che c'è dall'atro lato irrompe come punto di domanda insistente sulle forme di vita possibili ove la vista non arriva. L'accessibilità al sapere, il suo progresso si disegnano dunque come una serie di porte chiuse a chiave da forzare, sfondare, eliminare, superare.
Una porta chiusa, la più muta o la più fascinosa, assume la significazione di barriera verso il conoscere, ed insieme diventa il nutrimento più grande per chi ama nutrirsi d'immaginazione.
Rubando sagge beffarde parole a Donald Barthelme, "
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