Sam si confronta con l'imbarazzo di far propria la facoltà di giudizio. Preferisce starne a distanza, in tempi come questi in cui la si considera a ragione contaminata dal virus della facile opinione ed in più corrotta da un subdolo abbellimento che lo spirito del tempo impone al suo carattere altrimenti feroce.
Il giudizio così costruito s'espande tra gli accreditati alle visioni che affollano il bus del rientro da un luogo di festival in cui si concentrano con maggiore evidenza le ipocrisie in giacca e cravatta.
Ci si accredita ma ci si dimentica delle credenziali da portare con sé al momento richiesto.
Ed allora si cerca una situazione e se ne parla. All'occasione se ne può far qualcosa. Sempre comunque una parziale ri-costruzione. Si racconta una storia, la Storia, la trama, il plot, il succedersi degli eventi, l'inizio, la fine. I punti forti e quelli deboli. Quelli mancanti. I volti recintanti, la prossimità o meno alla vita reale. Si seleziona dal catalogo in dotazione il metodo d'analisi più adatto all'oggetto in questione. Ci si dota di categorie estetiche pericolosamente traballanti.
Ci si dimentica d'ammutolirsi.
Poiché se fosse sopravvissuto ancora un certo bipolarismo, una certa rivalità tra attivismo e passività, ci si sarebbe accorti che l'opera era là, si era fatta vedere, e noi forse non avevamo fatto altro che averla vista.
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