mercoledì 23 novembre 2011

FUGA



La fuga dall'immagine, dal quadro, dalla storia, fin lì dove più ci si può figurare, senza strade già tracciate da significanti già cristallizzati, lì dove non c'è sintassi, dove non c'è drammaturgia né segnaletica estetica o esistenziale. È forse proprio dove s'avverte una carenza, dove c'è una mancanza che disturba, nell'assottigliarsi dello studium, nel sottrarsi e nel venir meno che si raggiunge quel surplus di senso instancabilmente agognato. Fuga da fermo, di sola mente, nell'immobilismo d'una decisione da prendere, nell'impasse d'una strategia da scegliere in solitudine.

mercoledì 9 novembre 2011

domenica 6 novembre 2011

Apparati di Ri-produzione


Ognuno va per conto suo, per la sua mancata strada. Non c'è coralità, non c'è sacralità.

Apparati diversi governati e presumibilmente tenuti insieme da un governo centrale che ha perso il controllo a furia di decentramenti, delocalizzazioni e federalismi dell'Io. Un governo la cui sede pare variare da persona a persona: il cervello o il cuore o la pancia o i piedi o il cazzo.

Ognuno fa la sua parte? Perché nessuno più fa la sua parte?
Perché è così difficile farsi da parte, dopo aversela data una propria maledetta parte?
Brutte figure senza retorica. Metonimie di membra. La parte per il tutto, per un tutto che non c'è.
Perché non si sa più di cosa si è parte, né quando si parte o da cosa lo si fa.

Inconcepibili. Manchiamo di qualcosa. Sento che mi manca qualcosa. Mi sento mancante. Non completo. Complesso edipico, angoscia di castrazione. La mancanza come molla. La bambina segnata da un complesso di inferiorità.

Mutilati. Evirati della nostra fertilità. Tranciati di netto. Membri mancanti di questa società. Mancanti di socialità. Privati di istinti.

Ri-prodotti. Una copia unica della catena di montaggio umana. Spettacolo riprodotto in tutte le salse e in tutti i formati. Che trucchi usi tu per ripeterti?

L'apparato riproduttivo e le regole dell'attrazione, della repulsione, del rifiuto. Fiutare altrove qualcosa che ti piace di più. Un impossibile penetration test per gli animi, tra la necessità di entrare e quella di accogliere. Sbirciando tra i buchi caduti in rete, I'm not superficial, I like penetration.

Fonte prima e ultima di pulsioni e di tabù. Assillo d'ogni discorso di congreghe ormonali, chiodo fisso e punto estremo di piacere, tenerezza, pudore e intimità. D'animalità. L'origine del mondo è in quest'incastro tra cavità da far combaciare. Ossessione tutta carnale da penetrare e reiterare. Detonatore di relazioni, voracità bestiale e dolce approdo femminile. Tra derive platoniche, pretese angeliche e aberrazioni pornografiche. L'oggetto del desiderio per eccellenza, per eccedenza, fin lì dove appunto per smodata coazione a ripetere è il desiderio stesso a venir meno.

Generati, non creati. E vogliamo ri-generarci e ri-crearci ogni volta. Aspettando sempre l'ora della ri-creazione perché insoddisfatti dello stato attuale. Aspettando il break sempiterno, la salvifica idiozia, la merenda edonistica di cui cibarci per depensare un po' e tralasciare ingurgitandone tutte le turbe più nere e cupe.

L'ora della ricreazione in cui rifarsi. Dei torti subiti dalla fatica del lavoro. L'ora in cui rimodellarsi a immagine e somiglianza delle nostre ben odiate mal trattate intenzioni. Vendicarsi di madre natura ricomponendoci artificialmente a piacimento, supremo delitto della nostra galoppante immaginazione.

[consentimi di venire dentro te, da te, con te]

Tra piacere e godere, diatribe e dicotomie concrete, tra dipendenze e astinenze: testa/corpo; amore/sesso; soggetto/oggetto. Ancora ammutinamenti: chi è tra loro che decide?  

mercoledì 2 novembre 2011

PER (DE) FINIRE



La macchina da presa non è una certezza, è un dubbio. O così era almeno prima di cadere nel totalitarismo dell'idea e della gabbia narrativa.

Un'epopea equivoca e contraffatta. quella del cinema, che da quel groviglio di scienza e di visionarietà dal quale era nato - ricerca sulle immagini in movimento - è finito per farsi servo della necessità d'esser stupiti (e di conseguenza instupiditi) ad ogni costo, sprofondati in quella dimensione cullante di meraviglia, lontani da terrene pre-occupazioni.

Citando Jean Luc Godard, qui ri-preso in omaggio al suo spirito: Non c'è più formato, c'è qualcos'altro. Si parla di alta definizione come se dire Definizione non fosse sufficiente (siamo dalle parti dei paradossi linguistici del genere: severamente vietato - come se dire: è vietato non fosse abbastanza)...Si può per caso parlare di un quadro di Ingres come d'alta definizione e di un quadro di Van Gogh come d'un'opera a bassa risoluzione?!

Per quel che concerne il cinema si è ormai nell'atletismo dell'alta definizione, nel culto della performance. Ancora una volta, ribadendo per rompere le scatole: il senso non emerge vedendo (sentendo) meglio le cose.
La qualità non coincide con la definizione.