lunedì 28 febbraio 2011

Uomini a barre


Uomini a barre e senza codice. Uomini con i pattini in mano in procinto di ribaltare la re-visione delle cose. Uomini con le cuffie agli occhi appartati dalla socialità e in fuga. Uomini con trapani elettrici di quelli capaci di bucare il cielo. Uomini col cuore in tasca, accessorio rottamabile in cerca di cestino. Uomini con torte in faccia. Ognuno ha il suo dolce che merita. Uomini con fiori in bocca alla fermata di Trastevere. Uomini con il cappio al collo al capolinea del percorso.

Uomini e donne al centro senza scena. Con le buste in testa. Senza spesa, lì si raccoglie ormai tutta la melma.

Donne con i tacchi nelle orecchie. Make up per umili spose non egocentriche. Donne con le borsette come coda, da lì si semina il fascino profumato d'una scia di carne. Donne con segnali di fumo, di quelli da mandare in sciopero qualunque diligenza. Donne con le labbra in pancia e l'ombelico sulla fronte, lì dove si radunano i residui impossibili di tenerezza umana. Donne dai cuori obliterati a tempo con i biglietti in guancia alla fermata di Trastevere.


Alieni che osservano tutto sbigottiti, solidarizzando con il Sam dai sensi intorpiditi del mattino e promettendo che al prossimo viaggio porteranno anche lui lontano da qui.


lunedì 21 febbraio 2011

Frontiere


Dove non ci sono le frontiere, spesso s'innalzano i muri, che sono il contrario della frontiera.

Il muro, infatti, nasconde l'altro, mentre la frontiera lo riconosce.

Régis Debray



Adesso che abbiamo occhi per vedere quello che non esiste, ci rendiamo conto che alle frontiere non ci sono più insegne identificative, di quelle che imbavagliano il percorso indicandoci pretenziosamente il cammino.

L'utopia inafferrabile è nel varcare la soglia, superare le frontiere, superarsi per finire in un territorio non insediato da un immaginario prestabilito (pre-avvilito), ovvero lì dove non si possa più sapere da dove si viene e da dove si va, e il territorio sia occupato solo dal proprio corpo. Lì dove i segnali non possono più dirci niente.

Non si sa dopo quale passo inizi l'aldilà del percorso consentito. Arrivi di fronte all'orizzonte, pensi che l'attraversamento e lo scavalcamento di campo siano ancora ciò che rende clandestina, ardita e inaccettabile la tua volontà.

Sulla via del mistero, del più contrito e timoroso “sai quel che lasci, non sai quel che trovi”, le direzioni vengono meno, nessuno che ci impartisca tappe di riconoscimento forzato, vie crucis identificative, visti d'ingresso, permessi di soggiorno, carte d'imbarco, vie d'uscita o di fuga.

Non un ostacolo, ma una risorsa, accorrono le frontiere della visione, spazi liminari senza indicazioni valide per riuscire ad andare al di là del passo che stai compiendo. Valichi da sormontare con gli occhi, nei pressi di quei celebri spazi in-terminati al di là da quella.

Non accettando i confini, dunque, farsi sfrontati. Evocare ogni passaggio possibile. Irriverenti. Imprevedibili. Imprendibili. Inafferrabili. Invisibili.


mercoledì 9 febbraio 2011

Sovr-Impression


Parzialmente rasato così come affamato, così come stremato. Certamente dissennato. Cadavere squisito della mia (di)s-carica ragione. Fuggiti via quei balzi in piedi stracolmi d'entusiasmo, restano interminabili raffiche e il ricominciar canceroso. Furti d'autore e puzzle di vicende disorientanti. Di troppa lucidità s'annega. Trovare una configurazione adatta prima d'andare in avaria.


Pa(r)tire allora con un altro di questi resoconti poco oggettivi, d'un diluvio dolce e incantato inaugurato dal Cortazar manoscritto trovato in una tasca, incroci labirintici, speranze disperate della coincidenza co-incisione delle linee. Un incidente quello dell'incidere con il caso. I migliori appuntamenti sono quelli che non ci si dà. Vederla prendere la sua direzione e non poterla seguire.


Incrociare le braccia o gli sguardi. Le dita. Rotture e regole del gioco. Del giogo piuttosto. Di come cadere in trappola da soli e poi uscirne fuori insieme. Non facendo altro che cercarsi. Per perdersi meglio. Approfonditamente. A sprofondata mente. Non possiamo separarci così prima d'esserci incontrati. Scenderai da lassù quando vagheremo nel fondo del pozzo?


Il suo sorriso le aveva fatto male, voleva seguirla fino alla fine di questi giorni, di questa vita e oltre. Fino all'ultimo e altrove. Tra quegli spazi antonioniani rarefatti mistici desertici di Zabriskie Point, prima della celebre ipnotica deflagrazione finale, lì dove i corpi si amavano perché ultimi esemplari d'una faccenda ormai estinta, quella dello stringersi la mano senza pensare al futuro, quella dell'abbracciarsi al presente.


Le trasgressioni sono l'anima delle digressioni e viceversa, mentre risolutamente, liberatoriamente e con nonchalance, l'esserci e i discorsi a questi intorno rompono solo i coglioni.


Tra coincidenze di treni e di vite, di trascorsi, di percorsi, di intuizioni, di sventure, di ragguagli, di slanci, di rimpianti, di stenti di esaltazioni, di eclatanti meraviglie, di discese infernali e crolli verticali, di attrazioni, di fatiche, di corrispondenze, di pezzi, di constatazioni, di rilanci, di trasformazioni, menomazioni, crolli ancora, fraintendimenti e complimenti, appuntamenti e sparizioni. Competizioni partecipazioni incitamenti abbracci offerte aiuti prudenze gentilezze compagnie inizi indizi scoperte visioni parole simbiosi parabole percorsi. Con il traguardo altrove. Una coincidenza o l'uscita.


E in più cosmicomica guest star dai valori alterati, uova marce del presente trasfigurate in chiave fanta-trash. Per la messa in scena delle incongruenze lassative. Qualunque cosa va male, quindi tutto a posto.


In tempi di patologie latenti, delusioni cocenti, feedback latitanti, conoscenze approssimative e riconoscimenti postumi, cercasi levità di desiderio, ingenuità di vivere. Dismisura della parola. Perdere il filo del discorso. Scostarsi dalla linea maestra. Non potersi più dire ammaestrati. Andando troppo oltre o non ancora abbastanza. Non in linea, non in bilancia, non in equilibrio. Mancanti dell'inafferrabile. Insoddisfatti del presente. Transdisciplinari quanto indisciplinati.


Sovr-impressions. Gli strati che si accumulano, gli stati che si accomunano e si sedimentano. E trattenere sempre, trattenersi mai. Mai dire sempre, mai dire mai.


Manoscritto trovato in un anfratto di cuore della notte, scritto fibrillando, palpitazione una dopo l'altra. Per sognatori generosi, ammaccati e indomiti, di quelli con i piedi per aria, con la testa nella sabbia, con il cuore in gola, con i pugni in tasca, di quelli che preferiscono rassegnare le dimissioni da questa logica e da questa vita piuttosto che rassegnarsi, piuttosto che riassegnarsi.


Là ove ella mi scorse, Petrarca gioca in corner allo scadere. Calcia con eleganza e conduce lontano.


Di miraggi tramonti tuffi colazioni, di felini buffi, di scatti vitali, di smorfie e spiagge e iridi altrimenti colorati, di momenti magici e pozioni fragili, di banchine sorprese fermate scale

piani alti ventilatori.

Di tesi inutili e malintesi gentili. Di rapimenti odori onori gratitudine. Di mostre di coraggio e di lacrime.

Di corse a perdifiato voli mentali, spalle solidali, sonni tranquilli e prudenze di ritorno.

Di estemporaneità e tenerezze. Di improvvisazioni di improvvise luminose sensazioni.

Di tutto ciò che non ha parole.

Vasi comunicanti e piacevoli equivoci. Se non ora quando.


Combinazioni, riflessi. Accadimenti. Cadute. Ma cosa abbiamo combinato per non sfiorarci nemmeno più?


Tra scorte di scarti, scarti di scorie. Scorato dalla cerimonia martirologica del ri-ferirsi, eppur sollevato d'esserci in questo convoglio. Prima di salire qui in quale deserto mi trovavo?


Non c'è nessuno da queste parti. Dalle mie di parti si viaggia in formazione rimaneggiata. Con l'informazione manipolata. Ora comunico prima me se anche fosse possibile dirci qualcosa, così perturbati, agili a cadere, con l'horror vacui dello starsene con le mani in mano.


La pasta passa e il vino resta: Quartucci e Leo nel '65 facevano la fame, e non era uno spettacolo.


E ora salire in una delle pre-stazioni possibili. Poiché potrebbe non esser dato seguito.


sabato 5 febbraio 2011

La Ri-cognizione del dolore



Non si sta molto comodi nell'esilio forzato della volontà. Si respira appena, si avanza sotto mentite spoglie e, qual pena, fa male il cuore soprattutto. Dormivo in una fossa stanotte, mi rigiravo di continuo per trovare la mia condizione per peristalsi intestinale del masticato e triturato tempo che ci precede. Indigesto oppure ben assimilato. Deglutito a fatica. Singhiozzando o emettendo imprecisate peripezie giugulari.. La mia cognizione. I geniacci e gli angeli si fanno male facilmente. Tra fuochi d'artificio della memoria e un vomitar sospinto e ripetuto delle tossine in esubero, fuggendo il dolo del sentenziare postumo.


Pance torcicollo futuristi scoppi centenarie non paganti che soggiornavano e sogghignavano dormendo su meta-sedia. Articolazioni tormentoni iniziazioni munizioni operazioni padroni coglioni.


Certe visioni scortate da abbagli, scartate come caramelle da lasciar sciogliere a lungo sul palato prima che ti conducano a inediti risvolti, quelli di cui si rivolta dalla tomba del reale.


E come si fa a far finta d'esser sani a oltranza con un (cog)nomen omen di tale portata sulle spalle?


Parolaio parzialmente abile e quanto mai vano, sotto scacco d'una palla al piede che coincide con sé stesso. [come se fosse una cosa semplice vanificarsi ad ogni tentativo, passando da carneficine sentimentali a pantani dell'oggi desaparesido]


Diranno: evadeva dalla libertà su cauzione, pagava di testa propria le intemperanze di questa terra intera. Lo aiutavano in molti ad usar in tal definitiva maniera il proprio capo, lo stuzzicavano, gli spillavano idee dal cervello, lo prosciugavano, gli facevano un lavaggio ogni tanto.


Diranno: pagava con tasca vuota per essere felice. Lo faceva per non consumarsi anch'egli in pellegrinaggio danaroso in tempo di sconti e nel ricambio d'armadio e di stagione e di plotone. Non aveva nemmeno tempo per ricordarsi il proprio nome, ma era quello che voleva. Non finirò mai di rivedermi. Non mi riconoscerò mai. Non riconoscerò mai a me stesso di non esserci stato quando era l'occasione l'ingiusta fonte di piacere.


Ri-cognizione è l'azione effettuata oltre la linea del fronte per acquisire informazioni militari relative al nemico. [Ma qui il fronte è interno e il nemico non di meno]

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Visto l'andazzo, in tempi in cui ancora lo spettro del vate terrorizza i polli, l'approdo di demenza non sarebbe poi male. In questo merdaio in cui ci troviamo per rinsavire non bisogna badare agli indici di gradimento.


Dove ci troviamo dunque se non a mostrare e mostrarci come stimmate ancora le insufficienze di questa condizione, con le nostre povere parole, i nostri minimi occhi con i mezzi e gli intermezzi a nostra disposizione. A nostra deposizione. Deporranno prima o poi loro gli artigli e le armi, ci lasceranno fare nel carnevale del potere la parte del matto o quella del dotto. Dottori ci chiameranno del più abusato corporale nostro condotto. Apriti tu che il cielo non c'è più. L'ebbrezza sarà quella di fare i conti e di lasciarli aperti. Spalancati ad ogni evenienza, poiché resterà indeterminato chi conta e chi è soltanto contato. Più facile prevedere colui che, scontato, contatterà i gendarmi e metterà tutti in allarmi, sull'attenti, cittadini non aprite più i vostri battenti, anzi stringete e digrignate i denti, dimostratevi vincenti, allontanate questi poco dignitosi artistoidi malviventi.


Ed eccoci. Rieccoci. Avvertiti e ricchi d'eco. Sempre e ancora tanto riconoscenti quanto irriconoscibili al variare dei campi di gravitazione, all'infrangersi delle regole dell'attrazione, in comunione alcolica, per quell'attimo di delizia che precede strazi e stragi, strani casi e morti passaggi.


Ognuno ha le sue triste buone o cattive ragioni. Almeno tu nell'universo. Nel mio verso. No, nemmeno tu.


Vedo che ora siete affaticati, così tanto ai deliri impreparati. Così a lungo non riesco a seguirmi neanch'io.


Se il mondo gira perché non dovrebbe cambiare? Torneranno i feroci invalidi dai mari caldi e nell'extrema communio d'una messe mostruosa diranno che questo B noi ce lo meritiamo, come chi per desiderare la merda ha sacrificato la carne e il sangue.



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martedì 1 febbraio 2011

Touch it!



Agli antipodi dell'esigenza pornografica del veder tutto, nei dettagli, chiaramente, con ginecologica esattezza, anche le forme più prestanti e definite vengono meno ai loro contorni, dilatate e deformate, fuggono verso un astratto che, nella vaghezza della mancata definizione, ne glorifica l'esistenza al di là del farsi semplice oggetto penetrante/penetrato.
Una proposta per una ecologia del corpo, contrappuntata dalla nostra perduta abilità di guardare e cercare oltre la carnale meccanica superficie.
Maneggiare con passione, con tenerezza, con cura.