D'inutilità ogni pensiero giudicante si riempe facilmente la bocca.
Una volta tracciato il proprio percorso di senso (...il progetto, l'obiettivo, il fine o la fine), quel che de-borda, fuori-esce, non rispecchia le aspettative, non segue la tabella di marcia o per-segue il pre-stabilito, viene tacciato d'esser superfluo, vano, vacuo, sovrabbondante, inadatto, non pertinente, senza senso, inutile.
Scorrendo la gran quantità di accezioni del termine che il dizionario DeMauro-Paravia presenta, l'inutile non trova definizione se non in negativo: è qualcosa che non offre alcun vantaggio, di nessuna utilità; qualcosa che non serve ad un determinato uso e dunque inservibile; è inutile, con una certa presunta ovvietà, ciò che non è di qualche utilità, che non ottiene alcun risultato, che non è d'aiuto agli altri.
Interrogarsi sulla natura di tutte le designazioni sopra elencate è scoprire, così come l'utile richiede un'appartenenza, un'aderenza (ad un fine, ad un progetto, a qualcuno), l'inutile potrebbe riscattarsi dalla sua negatività percepita ponendosi come orizzonte d'un altra via possibile, quella che fa capo alla libertà dell'azione gratuita e scissa da una diretta funzionalità.
S-legandosi da un fine, l'arte, scriveva Kant nella sua Critica della facoltà di giudizio, diventa bella. (...)
Ed orientando il discorso in tali termini è evidente come un numero non indifferente di menti creative abbia scelto di porsi proprio sul versante della supposta inutilità, inevitabilmente di fronte (contro?) il Potere in tutte le sue forme.
E di come tenti ancora di farlo carving out a place in the larger culture where abnormality can be sustained, where imagining the unknowable – impossible to buy or sell – is the primary enterprise. Crazy! Says anyone with an ounce of business sense. Right. Exactly. Crazy1.
Quel che vorrei mandare avanti (proporre) è un'argomentazione che confuti la pretesa capacità discriminatoria, gerarchica, selettiva, che cade dall'alto d'un detentore di verità assoluta, mettendo in risalto come, soprattutto in campo artistico, le pretese teleologiche vadano ormai accantonate in favore d'una ricerca che miri a non discostarsi dalla constatazione d'una entropia del senso cui un attento confronto con la vita quotidiana (reale?) ci obbliga, costantemente ed inesorabilmente.
L'opera d'arte non è più una struttura chiusa ed un veicolo attraverso il quale imporre un ordine al mondo, ma diventa parte d'un processo attraverso il quale il mondo ha la possibilità di emergere per quello che è, penetrando, in quanto tale, nella nostra coscienza.2
La possibilità d'una via alternativa, d'una pratica non conforme al pensiero utilitarista e produttivista (...) ha interessato generazioni di pensatori ed artisti, di menti inadatte a sopportare l'imposizione di caratteri tassativi, normativi, regolativi, passibili di ridurre (restringere, cingere, costringere) il proprio campo d'azione all'esecuzione d'un compito già scritto.
Una volta tracciato il proprio percorso di senso (...il progetto, l'obiettivo, il fine o la fine), quel che de-borda, fuori-esce, non rispecchia le aspettative, non segue la tabella di marcia o per-segue il pre-stabilito, viene tacciato d'esser superfluo, vano, vacuo, sovrabbondante, inadatto, non pertinente, senza senso, inutile.
Scorrendo la gran quantità di accezioni del termine che il dizionario DeMauro-Paravia presenta, l'inutile non trova definizione se non in negativo: è qualcosa che non offre alcun vantaggio, di nessuna utilità; qualcosa che non serve ad un determinato uso e dunque inservibile; è inutile, con una certa presunta ovvietà, ciò che non è di qualche utilità, che non ottiene alcun risultato, che non è d'aiuto agli altri.
Interrogarsi sulla natura di tutte le designazioni sopra elencate è scoprire, così come l'utile richiede un'appartenenza, un'aderenza (ad un fine, ad un progetto, a qualcuno), l'inutile potrebbe riscattarsi dalla sua negatività percepita ponendosi come orizzonte d'un altra via possibile, quella che fa capo alla libertà dell'azione gratuita e scissa da una diretta funzionalità.
S-legandosi da un fine, l'arte, scriveva Kant nella sua Critica della facoltà di giudizio, diventa bella. (...)
Ed orientando il discorso in tali termini è evidente come un numero non indifferente di menti creative abbia scelto di porsi proprio sul versante della supposta inutilità, inevitabilmente di fronte (contro?) il Potere in tutte le sue forme.
E di come tenti ancora di farlo carving out a place in the larger culture where abnormality can be sustained, where imagining the unknowable – impossible to buy or sell – is the primary enterprise. Crazy! Says anyone with an ounce of business sense. Right. Exactly. Crazy1.
Quel che vorrei mandare avanti (proporre) è un'argomentazione che confuti la pretesa capacità discriminatoria, gerarchica, selettiva, che cade dall'alto d'un detentore di verità assoluta, mettendo in risalto come, soprattutto in campo artistico, le pretese teleologiche vadano ormai accantonate in favore d'una ricerca che miri a non discostarsi dalla constatazione d'una entropia del senso cui un attento confronto con la vita quotidiana (reale?) ci obbliga, costantemente ed inesorabilmente.
L'opera d'arte non è più una struttura chiusa ed un veicolo attraverso il quale imporre un ordine al mondo, ma diventa parte d'un processo attraverso il quale il mondo ha la possibilità di emergere per quello che è, penetrando, in quanto tale, nella nostra coscienza.2
La possibilità d'una via alternativa, d'una pratica non conforme al pensiero utilitarista e produttivista (...) ha interessato generazioni di pensatori ed artisti, di menti inadatte a sopportare l'imposizione di caratteri tassativi, normativi, regolativi, passibili di ridurre (restringere, cingere, costringere) il proprio campo d'azione all'esecuzione d'un compito già scritto.
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