I
Una signora grassa con carrello della spesa salì, borbottò rimproveri all'autista, cercò un posto ibero, si sedette dove mia mamma aveva lasciato spazio, sorride della gentilezza elargitele e poi, accomodatasi con sollievo, alzò con accuratezza la natica sinistra e produsse con nonchalance due rumorosi peti.
II
Il tempo stava per scadere, l'annuncio giunse e chiesi che le palle fossero raccolte da terra. La piccola Anastasia mi guardò stupita, mi disse che solo tre minuti per lei erano ancora passati. Le risposi che molti altri minuti si erano esauriti senza che lei se ne accorgesse. Al che, lei, prematuramente conscia di come vadano le cose, mi disse con serietà: Sai come si chiama questo tempo di cui tu parli? É il tempo soggettivo....
III
Ed ecco che m'apparve decontestualizzato e diverso il sommo professore De Vincenti. Smarrito sul marciapiede di Via Ostiense, quasi fosse fuori dal suo habitat (dal suo invisibile piedistallo), a testa bassa ed incespicante sui suoi stessi passi lenti, altrove con lo sguardo di chi non s'è stancato ancora di cercare, di stupirsi del farlo, del poterlo fare ancora. In un inedito atteggiarsi con sigaro in bocca, leggero seppur rotondo, interruppe il suo stato di sospensione e venne verso me.
Uscivo dalle pareti di carta stampata d'una edicola stracolma.
Cercava qualcosa, forse niente di preciso, mentre aspettava che nell'andare a caso gli venisse in mente l'idea giusta.
Non s'accorse di me, non ricordò d'aver fatto la mia conoscenza.
IV
Avendo dimenticato un “esageratamente” il mio discorso faceva acqua da tutte le parti. Per farmelo notare, per accentuare la banalità di quello che non mi accorgevo essere ovvio, Federico si allungò verso il lavabo, strinse la manopola del rubinetto e sentenziò, mentre l'acqua iniziava a scorrere:
V
Percorrevo l'ampio marciapiede del Lungotevere Testaccio quando uno spoglio rametto di platano s'incastrò tra i lacci della mia scarpa sinistra. Me ne accorsi. Lo raccolsi tra il divertito e lo stupito. Lo strinsi in mano, perfetta compagnia all'ansia del restar a mani vuote. Proseguii fino a raggiunger la banchina d'attesa del 170. Un cane di media taglia stava giungendo nella mia direzione. Prese di mira il bastoncino che ancora tenevo con me, lo afferrò tra i denti e continuò scodinzolante il suo vagare. Tutto successe per caso.
VI
Le mani andavano gelandosi. Le palline giacevano ancora a terra. Marco giocherellava e non ci teneva riprender l'allenamento. <
Nessun commento:
Posta un commento