Carne mangia carne, a corto di galateo e di buone maniere, mangiamoci uno dopo l'altro. Scambiamoci un segno di pacifica intesa e poi azzanniamoci meticolosamente.
Si divora quel che resta del macellato presente. Lo si strattona, lo si prende a morsi, lo si sacrifica all'altare dissacrato della tavola sociale. Risolutamente disumani(zzati). E si divora l'immagine, in tutta la sua digitale (in)consistenza.
Sulla scena del crimine, sopraggiunti sempre troppo tardi, si condivide solo la propria accorata muta rabbia. Di noi resta solo un resto triturato e rimasticato per l'occorrenza. Una ricodificazione binaria e postuma delle nostre azioni.
Sopraggiunge una certa fame. Del prossimo vivente da sacrificare. Non siamo altro che ciò che mangiamo. Pezzi esangui e confezionati, pronti per essere rituffati nel mercato. Fino al morso finale.
Ancora infine omaggiando Novarina, le cose morte che sono le nostre vite scambiamocele in cambio della vita delle cose.
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