domenica 24 febbraio 2013

VOTARSI



Vendo il mio voto al peggior offerente.
Offro il mio voto al miglior sofferente.

A colui il quale, campione di incredulità, mi prometterà la luna.

A chi la smetterà di (finger di) occuparsi del lavoro altrui e lo occuperà e basta questo posto che non gli spetta.

A chi dichiarerà che la Repubblica Italiana è sfondata dal lavoro.

All'asta il mio (ex) voto. Scegli il tuo santo preferito. Quello che raduna i più grandi folli, quello che raccoglie il più condiviso scompenso.

Ci riprenderemo, dicono. Ma che cosa?

In fin dei conti o di scrutinio l'eletto (l'Eletto?) si rivelerà solo il miglior sarto, quello in (mal)grado di cucire i target di mercato più ampi e variegati.

Il mio vo(l)to lo vendo a chi mi farà conoscere Godard e diventare collaboratore di Herzog, a chi mi donerà un secolo della propria vita, a chi mi inviterà a cena con Artaud, Cocteau e Camus.

A chi mi assicuri di farmi da servo per il resto dei suoi giorni.

A chi ha l'uccisione della speranza come primo punto del programma.

A chi scelga di morire il giorno delle elezioni, martire della potenzialità ipocrita miracolosamente inespressa.

A chi mi offre nitrato d'argento e non un pezzo di pane. Candidati dallo sporco impossibile, tutti troppo luridi per candidarsi, se non altro perché interessati a insediarsi tra lo smog metropolitano romano, crocevia di più motori che viventi, città del traffico eterno di voti e poteri.

A chi mi offre una vita e non un lavoro. Non abbastanza a mollo, non ancora appesi (al cappio), votarsi all'esperienza della non prudenza.

Tra giochi allusionistici e allusive illusioni, v(u)otare il sacco, dalla classe dirigente alla classe digerente.

Non esercizio di lamento, ma esercito di lamentatori. Lamentazioni parlamentari. Angosce orgasmiche al lume della ottenebrata ragione.
Compiacenza del compiacimento, vicino al lamento ecco l'estasi, l'uscir fuori di sé portando a spasso la lagna della festa. Lo spot del gregge in cammino. Mi addoloro con gioia, mi tormento con piacere. A irresponsabilità illimitata.

Fate prima scendere (fate sempre prima a scendere che a salire, più facile andarsene che arrivare?)

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