Vendo il mio voto al
peggior offerente.
Offro il mio voto al
miglior sofferente.
A colui il quale,
campione di incredulità, mi prometterà la luna.
A chi la smetterà di
(finger di) occuparsi del lavoro altrui e lo occuperà e basta questo
posto che non gli spetta.
A chi dichiarerà che la Repubblica Italiana è sfondata dal lavoro.
All'asta il mio (ex)
voto. Scegli il tuo santo preferito. Quello che raduna i più grandi
folli, quello che raccoglie il più condiviso scompenso.
Ci riprenderemo, dicono.
Ma che cosa?
In fin dei conti o di
scrutinio l'eletto (l'Eletto?) si rivelerà solo il miglior sarto,
quello in (mal)grado di cucire i target di mercato più ampi e
variegati.
Il mio vo(l)to lo vendo a
chi mi farà conoscere Godard e diventare collaboratore di Herzog, a
chi mi donerà un secolo della propria vita, a chi mi inviterà a
cena con Artaud, Cocteau e Camus.
A chi mi assicuri di
farmi da servo per il resto dei suoi giorni.
A chi ha l'uccisione della speranza come primo punto del programma.
A chi scelga di morire il
giorno delle elezioni, martire della potenzialità ipocrita
miracolosamente inespressa.
A chi mi offre nitrato d'argento e non
un pezzo di pane. Candidati dallo sporco impossibile, tutti troppo
luridi per candidarsi, se non altro perché interessati a insediarsi
tra lo smog metropolitano romano, crocevia di più motori che
viventi, città del traffico eterno di voti e poteri.
A chi mi offre una vita e
non un lavoro. Non abbastanza a mollo, non ancora appesi (al cappio), votarsi all'esperienza della non prudenza.
Tra giochi allusionistici
e allusive illusioni, v(u)otare il sacco, dalla classe dirigente alla
classe digerente.
Non esercizio di lamento,
ma esercito di lamentatori. Lamentazioni parlamentari. Angosce
orgasmiche al lume della ottenebrata ragione.
Compiacenza del
compiacimento, vicino al lamento ecco l'estasi, l'uscir fuori di sé
portando a spasso la lagna della festa. Lo spot del gregge in
cammino. Mi addoloro con gioia, mi tormento con piacere. A
irresponsabilità illimitata.
Fate prima scendere (fate
sempre prima a scendere che a salire, più facile andarsene che
arrivare?)
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