All'obitorio si mangia un'ottima pizza. E anche dopo mezzanotte puoi trovare dei fumanti supplì al telefono. Si è sempre in mezzo, nel ri-flusso degli eventi, nel dis-corso del tempo. Tra provini a porte chiuse e provette a finestre aperte, tra clacson molesti e nefaste previsioni di apocalissi imminenti. Tra ritrovamenti di “dottori” cancellati dalla memoria e proponimenti di nuove vite condivise.
Tra corpi a pezzi e menti lucide, la rovinosa romanità del “magno e torno”, il copyright che Hitler avrebbe dovuto chiedere a tutti i regimi a seguire (e a tutti i produttori di film che ne mal-trattano le gesta), fino alle kafkiane conseguenze d'una indignazione gentile, d'una birra e d'un amaro, d'una sudorazione eccessiva al volante dell 17 agosto scambiata per sfregio alle regole della più sana condotta (automobilistica e non). D'un soggetto formidabile da girare al più presto - la storia di un'infermiera che lavora nel reparto esami urine della clinica poliziesca, lì a guardar e controllar dietro una finestrella che duecento persone al giorno piscino dentro il barattolo-campione senza compiere sotterfugi vari.
Tra sondaggi su quale sia l'età e quale il modo per tagliare le (proprie) radici, quale quello per non cadere perché appiedati dai propri sogni, tra creme per rendersi opachi e balsamo per sciogliere i pensieri più contorti, tra calendari di lavoro e piani di vita, quale migliore postazione per non più viventi, per inattuali anime autodistruttrici, per apprendisti agenti della morte dall'inconsapevole sorriso tragico. Conniventi figure ammaccate, indomiti girovaghi dissennati in lotta contro l'ovvio, tra intrighi e incanti, tra inciampi e incontri.
Un tavolo come un altro o forse no. Dove, rubando parole randomizzate, c'è la gioia di trovarsi e la paura di perdersi. Dove si potrebbe trovare quel mondo che, accordandosi ai nostri desideri, non ha casa da queste parti.
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