Fare resistenza oggi è opporsi al sorriso finto da frontman tv, al selezionato salotto d'opinione plastificata. Alla mercificazione dei corpi, alla schedatura dei gusti, all'appartenza. È negare la coincidenza paradossale tra progresso tecnico e qualità/valore estetico. Fare resistenza è proporre un'alternativa degradata, regressiva e, se è il caso, difforme, che ne se fotta (andando al di là) della confezione impeccabile, della perfetta esecuzione, degli onori della giuria, del titolo da conseguire. Fare resistenza è rigettare e demolire lo spettacolo fatto di ruoli, di personaggi, di applausi, di luoghi e tempi deputati, di mestieri e misure standard, di pacchetti vantaggiosi e buoni sconto. Di accreditati e screditati, di frasi fatte e giudizi precotti. Fare resistenza è non scendere a patti con l'intrattenimento, con la speranza, con la consolazione. Resistenza è non con-fermarsi alla coincidenza della tua creazione con la presunta realtà che ti circonda. Fare resistenza è non confondere pecore su un palco con rappresentanti da eleggere. È non confondere pecore con popolo. È non parlar a s-proposito (e il proposito manca sempre) di libertà. Fare resistenza è non (voler) comprendere.
lunedì 26 aprile 2010
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