Depongo le mie uova, son solo parole. Compongo deposizioni. Depongo composizioni. Che qualcuno forse coverà, con rancore o con amore. Che qualcuno forse romperà, con cupidigia o con alterigia.
Sotto una cotenna che è fatta di lustrata apparenza si cela l' arrovellarsi feroce d'una anima in gabbia. Intorno a quel patto di non belligeranza che rende mansueti educati diligenti, coltre di fumo democratico oltre il quale è difficile incaricarsi d'avanzare, giochiamo alla guerra dei sogni.
Dimentichi del nostro spirito vitale e ben disposti ad accomodarci in luoghi deputati, in recinti assegnati, ci compiaciamo della nostra comoda poltrona. Da lì partiamo, sconfiniamo, evacuiamo.
Per approdare sull'isola che non c'è.
Per approvare, sull'isola stessa, che non c'è più niente da fare se non delirare.
Poiché oltre al cliente, all'utente, al paziente, pare che, per dirsi presente, non sia restato altro che fare il demente.
Dell'evoluzione così mal ridotta è bene ormai che s'inverta la rotta. Non altre parabole edificanti, ma brillanti ed appassionanti progetti de-pensanti.
Che al costruire si opponga la migliore delle imprese di demolizione.
Che al proseguire faccia fronte il più abile dei movimenti di retrocessione.
Consci che per la manutenzione ci siamo negati alla dissipazione, per la comunicazione abbiam sacrificato la ricerca dell'illuminazione, per la conservazione abbiamo ucciso il piacere d'ogni gaudente partecipazione, scegliamo per una volta di eccedere dell'eccellenza e consegnarci all'esigenza di viver di corporea e di insana preferenza.
Con divisione e nell'indifferenza, in condivisione e con differenza, facciamoci arma stridente e poi spiazzante, manifesta(ta) mente ingombrante assordante destabilizzante.
Una volta e per tutte, non aderente ma dissonante.
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