Era giorno di sconti alla Feltrinelli di Viale Marconi. Una buona occasione per conquistare finalmente, e con il presunto sconto del 20% sul furto di copertina, gli Incontri alla fine del mondo di Werner Herzog.
Mi diressi subito in cerca del libro, evitando pericolose distrazioni tra nuove pubblicazioni e copertine in bella mostra. Lo trovai, scoprii che avrei risparmiato ben 2,40 euro e mi avviai verso la cassa.
Il sabato e l'abbassamento dei prezzi avevano però creato un lungo cordone di vittime di questo mercato della parola scritta. C'era da aspettare alcuni numerosi minuti prima di sentirsi offrire un arrivederci e grazie con contorno di scontrino e raccolta punti.
Cercando un appiglio che facesse trascolorare in interesse e gioia la rabbia di quella che era la mia forzata attuale posizione nel mondo, m'imbattei nel titolo del quale su un divano notturno in fondo all'Italia avevo (dis)corso con un'anima affine.
Il Tempo invecchia in fretta di Antonio Tabucchi era lì, in cima ad una catasta di fresca rilegatura, a consigliarmi di prenderlo tra le mani e e farne compagno d'attesa. Così feci, iniziando a divorarne le prime pagine, dal frammento di Crizia che dà il titolo al libro fino a quello che ora più non ricordo.
E allora, pur nell'erosione progressiva della cordialità, confrontandosi con la pazienza in esaurimento del “quanto ci metteremo” e del “quanto ci toglierà” (alla nostra vita) questo frangente sperperato con il naso sulla nuca d'un altro cliente, da momento di tortura in cui a furia di inseguire le ombre il tempo invecchia in fretta, la premura divenne e mi risultò prematuramente obsoleta.
A contatto con quel testo c'era insospettabilmente modo di guardarsi intorno, predisponendosi nell'atteggiamento spettatoriale di chi in nessun caso nega la possibilità che anche la minima azione riesca a coinvolgere un pensiero attento.
Accorgendomi che, nell'acclimatarsi lieto e non egoista tra le insofferenze degli abitanti di una coda, anche la fretta può invecchiare con il tempo.
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