domenica 16 novembre 2008

La mimica del perdente


Sam si dice sollevato che le giovanili inquietudini che gli si pongono davanti non lo riguardino ormai se non dall'esterno. L'evolversi nevrotico d'un match pone in evidenza con sfacciata crudezza la mimica del perdente, triste gesticolare d'una mente non più presente sul luogo d'azione.

Ma poi si ricorda di quando non era ancora in grado di relativizzare le sue azioni ed il tennis era più al centro del centro del suo mondo. Così seppur adesso il suo ruolo è di mero osservatore, mantenitore dell'ordine, controllore del rispetto delle regole, vigilante il lineare evolversi d'un torneo domenicale destinato a nuovi aspiranti agonisti, quel che vede si mischia con quel che ha vissuto mille volte da protagonista.

Come si declini il disappunto di fronte alla sconfitta è fatto soggettivo, ma suscettibile d'una generalizzazione e catalogazione che possa lasciare ampio spazio di consultazione a chi non sia ancora ferrato dell'argomento.

Cominciare con il parlarsi addosso, con un fare quieto eppur schizofrenico .

Scuotere il capo e farlo con forza, poiché da lì partono i tuoi mali. Perché è lassù che si dovrebbero prender decisioni ed invece ci si barcamena, ci si riempe d'incertezza e distrazione. Si indugia fino a quando il colpo non potrà portare che a sbagliare. La palla è passata, il punto perso.

Non trovar consolazione.

Allargar le braccia, alzare le spalle, scalciare nervosamente.

Imprecare accanendosi contro il santo preferito, contro il tuo stesso strumento di gioco, contro la tua stessa pelle.

La scusa è dietro l'angolo. Si tratta di te, ma è d'altro che devi occuparti se vuoi giustificarti. Colpa del campo, delle palle, del sole, del vento, degli spettatori, dei genitori, degli allenatori.

C'è qualcosa che non funziona: le gambe, il braccio o, con più probabilità, la testa.

Chi cerca d'imitar pedissequamente l'idolo amato, ricalcandone gesti e movenze, non ha che un risultato da raggiungere: scalfire la propria già traballante solidità a forza di volersi fare doppio del perfetto giocatore ammirato da lontano, struggersi nel non saper arrivare al livello voluto, a quello sperato.

Volgere lo sguardo al cielo

Non trovare soluzioni

Sotterrare le proprie ambizioni sotto un mare di errori.

Dirsi incredulo

della propria nullità

della propria incapacità

della propria fragilità.

Ci si fa capro espiatorio. Il destino gioca sempre con te? Non è possibile che capiti proprio a me!!

Quando ci si accorge di dover cambiare atteggiamento, di dover prendere provvedimenti nei confronti di sé stessi, il tempo è finito e la partita abbandonata nelle mani avversarie.


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