martedì 11 novembre 2008

Cosmo-teogonia d'un luogo. Il Bandana

Ci sono luoghi in cui quasi spontaneamente quel che si presume reale si presta alla nostra lente deformante e si trasferisce sul piano simbolico.

E' qui che, per diretta conseguenza, l'illusione d'aver trovato un senso (o già di essere sulla buona strada nella ricerca), la quadratura del cerchio che le tue mani nude, in continuo cammino, tracciano sui bordi di quel bicchiere che si frappone tra il tuo sguardo ed il vuoto, raggiunge insperate vette di concreta utopia.

Al Bandana Dio si chiama Antonello. Dicono di lui che abbia molto viaggiato come agente di commercio nel settore alta moda prima di stabilirsi per un'alcoolica vecchiaia in via Alessandria. Fornito d'una voce mansueta, degna della paradossale ed irrispettosa corrosività di quella del Lucci iena televisiva, agisce con una grazia oppiacea, con la serenità dei saggi dalla barba bianca e dal volto candido.

Elargisce consigli interessati su cosa metter tra i denti, dispone di chi è cliente conosciuto con l'agio del direttore dei lavori.

Se le sue mani si muovono con fare religioso, se il suo linguaggio rivela una sanguigna romanità, il suo pensiero è perennemente tra i cuscini del suo sonno, e sotto d'essi, dove è certo ch'egli custodisca il suo patrimonio. Guarda in alto, mani dietro la schiena, spalle poggiate al muro, pensando a quando potrà carezzar di nuovo il suo bottino.

Despota illuminato circondato da una corte fatta di cane al guinzaglio, moglie al lavoro, figlia in scooter nei paraggi, clientela fedele e ligia alle sue direttive, ed un numero di giovani cameriere il cui numero cresce in rapporto inversamente proporzionale alla permanenza delle stesse tra i tavoli del locale. La durata del loro contratto di lavoro è un altro dei misteri che ogni fedele sarebbe lieto di conoscere.

Tuttavia, sia lodato Antonello se è consentita sotto previa richiesta la degustazione di toast profetici, da consumare in gruppo, a piccoli morsi, solo al momento in cui la sottiletta al suo interno ritorna fredda e la pietanza fa così avvertire un piacevole sentore di raffermo.

Contraltare al Nostro, un'altra figura ha eletto il Bandana come terra per riempire al meglio quel che resta della giornata una volta che la luce solare si è data alla fuga. Un buco nero d'origine sconosciuta, di colore ovviamente uniforme, scuro in volto, così come forse in cuore, s' oppone alla solarità finora descritta.

Il suo profilo professionale ci è ignoto, ma Rocco, con mezza pinta in mano e sembianze che ricordano Salman Rushdie, barba ed occhiali a protegger da una viva emotività il suo volto, fa sempre la sua teatrale apparizione tra i tavoli del pub, a testa bassa e con attitudine sempre identica.

Nero nell'abito, buio nel portamento, s'aggira per il locale, dentro, fuori, nei dintorni, per lunghe ore. Il suo riservato contegno è quello di chi è consapevole che una certa tristezza gli è diventata amica ed ora si suppone in inesorabile espansione?

Seppur di natura ed estetica sì differente, come se il Bene ed il Male ogni tanto s'incontrassero e si dilungassero a colloquiare, le nostre due facce prendono spesso contatto, s'avvicinano, fanno il punto della situazione sulla soglia d'ingresso.

Poi c'è Ariel, non un ologramma della sirenetta di disneyana memoria, ma un sano ingenuo elemento riequilibratore di quei profitti che altrimenti sarebbero troppo sbilanciati a favore delle finalità affaristiche del Signore del luogo. Lo si vede trafficare tra le luci al neon della cucina, ma nel pomeriggio si sposta dietro il bancone, ed è nei pressi della cassa che dà il meglio di sé.

Come a vigilare sul bere giornaliero, un uomo dinoccolato e perso passa ripetutamente nei pressi degli ingressi del locale, lanciando i suoi occhi fin oltre le sue orbite, ansioso di vedere o agitato dal suo aver troppo visto. Barba incolta, sguardo furioso ed allucinato di chi sa di continuo inveire contro i noti santi e la madonna per la sciagurata esistenza nella quale è ora o tuttora imprigionato, egli compie un percorso circolare, circumnavigando l'isolato e riproponendosi dunque sempre nella stessa direzione. Egli ripassa, non ritorna.

Quella tracciata è solo una breve e parziale cavalcata tra le figure umane di questo luogo dove si mescolano con naturalezza gesti dal sapore divino e quotidiano alcolizzarsi da Guiness Pub.

Nuovi episodi seguiranno, se ci sarà lecito sopravvivere all'impatto con i piatti del giorno, il cui prezzo rimane ignoto alla massa dei fedeli clienti fino all'ora in cui un dolcetto al cocco addolcisce l'amaro, fino al tempo in cui uno scontrino comunica quanto cari da pagare saranno i nostri peccati.



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