lunedì 7 gennaio 2013

CUMULI



L'impegno sociale al culmine del suo più masochistico contrappasso è l'utopia realizzata d'un certo frangente dell'arte, quella che brama la partecipazione popolare, il comune interesse, il versante utile e funzionale anche del dichiaratamente inutile. Il torpore dell'etica converge con l'estasi an-estetica, l'opera si fa e si disfa nella sua più totale mancata intenzionalità.

Un punto di raccolta e l'azione corale è presto fatta. Deposito degli scarti, rifiuti dell'abbondanza ostentata alla vista di tutti. Quando l'affetto vomita noncurante il precipitato deteriore del più rituale natalizio banchetto, buoni propositi impacchettati, strozzati, accumulati, infiocchettati e gettati all'ammasso. Sculture viventi e multisensoriali che mescolano organico e inorganico, dal carattere effimero e continuamente cangiante, sinestesia letteralmente mozzafiato. L'interazione con il pubblico, qui più che mai l'artefice stesso dell'opera, è risaputo e riciclato topos, l'origine e l'approdo della connotazione sociale dell'atto artistico. Qualcuno verrà. O forse sverrà per l'intensità dell'odore o per eccesso di empatia. Ci sarà chi si arrischierà a tuffarcisi dentro, chi proverà a sottrarne furtivamente un cimelio. Il sogno del rigattiere è sempre gettato dietro l'angolo. O nel ventre oscuro d'un cassonetto. In tanti preferiranno ammirarla a distanza, timorosi d'esser travolti da una vertigine dei sensi. E così i maleodoranti scettici nei confronti dell'arte contemporanea avranno di che rammaricarsi nel non averne compreso la carica trascinante d'una installazione collettiva di tal fatta, così facile da riprodurre in ogni angolo della terra. Il successo va ricercato nella nostra sempre più spiccata voglia di comunità, nel reciproco confronto, la ricerca fragile d'un momentum (il lancio del sacchetto richiederebbe uno scritto a parte) che poi si fa monumentum, deposito non si sa quanto provvisorio di gesti singolari. L'arte per tutti.
Tra installazione e land art, nel superamento dei luoghi deputati, lo strabordamento oltre il parapetto della decenza ne suggerisce un inaspettata ma azzeccata integrazione (assorbimento?) al contesto urbano, nel quale trova terreno di fertile fastidio. (l'opera d'arte che sia tale deve disturbare, esorbitare, significare?). Dente cariato d'ogni armonioso piano di decoro, metastasi diffusa del mi(ni)stero dei beni culturali.

Addobbi post-natalizi. Già consunti e consumati. (come noi e di più). Breve durata e lunga gittata. Partecipative, comunitarie, effimere e non organizzate, queste opere senz'autore sono aggregati d'oggetti fisici e insieme indiscutibilmente sociali, forse non con una portata conoscitiva ma di certo incline a provocare sentimenti in forma individuale o generalizzabile. Ready made involontario indotto dalla coazione a ripetere l'errore, sono l'aldilà del mercato e delle merci. La città si veste e riveste, diventa museo a cielo aperto, o meglio spazio espositivo per un'arte diffusa, fruibile a tutti, senza barriere. Un merzbau che è simbolo di comunione universale. L'olezzo dello spirito arriva fino alle nostre narici. Chi è netto scagli il primo sacco, dirà il prossimo profeta. Il bene (alimentare) traboccherà dai contenitori, verrà fuori dai divieti che ne limitano gli spazi.
Ne siamo certi, conquisteranno le nostre piazze se non i nostri cuori.  

2 commenti:

il7 ha detto...

Titolo: Tutti i modi in cui ci si è accumulati pseudoartisticamente dopo la morte diverranno polvere di acari.

Dopo la mirabile dissertazione critica che precede, un impulso sconveniente mi spinge ad una esemplificazione poco lineare, che sfida la pertinenza e non riesce a contenere il masochismo autosputtanante. Peraltro, sono ben lieto di trascinare con me in questa cronaca rovinosa personaggi e figure che invece sono spasmodicamente tese ad apparire senza però esporsi troppo a critiche. Dunque: essendo ogni angolo di mondo ormai un truogolo ricolmo di persone raffazzonate e oggetti dalla forma discutibile, mi ero recato, perso per perso, in un luogo dove potessi cogliere il senso scadente di quella condivisione della pretesa artisticità che è l'oggetto del post. Non riuscivo a respirare, intrappolato tra la parete in pelliccia della schiena di una gran signora il cui amore per Velasquez era abbondantemente superato da quello per gli ermellini, ma morti, e non in braccio alla dama del dipinto leonardesco, ed il fianco nudo di un performer alto più di due metri che mentre parlava con due gemelli gobbi faceva stretching prima dell'esibizione allungando le braccia verso l'alto e muovendo le dita come se annaspasse verso la luce di un'apertura, lassù in alto, boh. Io invece annaspavo sul serio perché malgrado i soffitti altissimi di quel salone dall'arredamento fin troppo di classe, con pannelli serigrafati sulle possenti colonne squadrate al centro, rappresentanti ninfe plebee e rospi giganti gonfi di veleno, lì dentro non si respirava. L'idea degli organizzatori era quella di ottenere una concentrazione tipo-lager di pubblico dell'arte contemporanea, artisti di primo pelo e gente che si butta e scugnizzi in cerca di una scrittura, in assenza però di una vera e propria manifestazione artistica, ma solo con l'idea di riunire masse di gente come rifiuti in un cassonetto strabordante, tutti accalcati e accaldati, a Gennaio, in un flash mob indoor in cui il cumulo della cialtronaggine generasse un potere magnetico su tutti gli amateurs, gli intrallazzatori e gli esteti dal sandalo da anacoreta e coloro che si lasciano intrigare dalle nefandezze a colori e quelli che… "Ah, l'eleganza del bianco e nero"!
Di solito mi ritrovavo lì con qualche amico puttaniere che vomitava tutti i particolari delle sue spalmature erotiche sulle tettone di cassiere nella macchina della moglie, parcheggiata però fuori mano, in qualche parcheggio di supermercato sulla Laurentina. Oppure ci avevo portato mia zia, quella brutta e arcigna, proprio al fine di dissuadere il cameriere dal venire a chiedermi l'ordinazione al tavolino, dato che si vedeva da lontano cento metri che lei scruta tutti con aria maligna pronta a sparare frasi ignorantissime soprattutto senza motivo. E invece quella volta ero lì da solo, ma presto fui abbordato da una piccoletta con le braccine secche che mi disse: "Lei è quello che se la racconta come gli pare, vero?" Io risposi: "Prima che lo faccia qualche beccamorto, ci penso io a dire la mia!" "Sì, ecco. Ci vuole una voce fuori dal coro, perché io trovo tutti ubriachi pure qua dentro, e non riesco a tirar fuori la mia arte se per colpa dell'alcool a questa gente non gli regge la pompa". "Signorina, non deve disperare; se persiste con questi approcci, presso la toilette ad una cert'ora troverà chi si è spurgato dal whisky ed è pronto a soddisfarla". "Le pare facile? Io ho senso porno-artistico da vendere, o da vendermela, però c'è concorrenza, perché molte mie imitatrici sono albanesi e prima di fottere litigano con l'uomo e gli tirano il bicchiere del drink in testa!"
FINE PARTE 1

il7 - Marco Settembre

il7 ha detto...

PARTE 2:

"Mi rendo conto. Effettivamente tutte queste carcasse umane che si accalcano per vedere lo spettacolo sublime di questo loro stesso ronzare attorno alla cloaca può disattendere le aspettative delle personcine raffinate come lei, che meriterebbero più acconci cumuli di letame". "Lei è molto gentile a tarare su di me questa poetica del cumulo". "Lo faccio perché sono preso alla gola da quest'odore che, come l'arte contemporanea della transumanza, è fruibile a tutti senza barriere se non i peli delle narici. Ma il potenziale conoscitivo di questi convegni insensati è sociologicamente inconsistente proprio perché è la scaturigine di un desiderio di aggregazione tra scimuniti". "Perché scimuniti? Io a volte faccio la mano morta a qualche giovanotto che usa poco la doccia e subito mi dicono che sono poco originale!.." "Sono scimuniti perché in molti pensano di sapere, ma poi sanno sempre le solite cose e si confrontano in chiave quasi agonistica, malgrado la noia apparente del savoir faire, con altri bufali inquartati o pollastre in quota che "gli fanno le pulci" facendogli la critica filologica pur sapendo solo un paio di paginette di più e vantandosi invece del distacco dall'estetica accademica come anche dal postmoderno, dai fumetti underground come anche dai cinepanettoni, dal design del gioiello come anche dalla vetrinistica e dalle vetrerie di Burano, malgrado poi ci siano gruppuscoli di giovinastri trasandati che dicono che questi chiedono 6000 Euro per una valigetta-giocattolo rosa con dentro un vecchio gettone, un pedone degli scacchi e un minuscolo sacchettino di coca dicendo che il tutto è un pezzo neo-Fluxus, e altri invece dirigono dei Master che sono delle truffe belle e buone, tengono delle mailing-list che sono elenchi di pregiudicati, e se lo stagista non gli mette in ordine l'agendina privata gli dicono: "Se ne torni nella sua borgata, è la prima volta che lavoro con lei e già mi è andata di traverso la saliva!" Come vede, mia cara mini-escort col piumone glitter-pop rattoppato, se vuole arrampicarsi sulle superfici accidentate delle installazioni anaffettive, frigide ed effimere su cui viene appiccicato qualche significato sociale, non dovrà studiare testi sacri, ma le basterà continuare a sviluppare la body art a cavalcioni dei manzi col sigaro grosso. E anzi lo faccia azzerando il quoziente creativo, si annulli come autrice, trombi pensando alle cassette di verdura del mercato, perché tanto è tutto un deposito di carni deperibili, siamo alla land art dei mercati generali, e pure a me mi sta bene, perché se l'arte deve essere disturbante, io già da solo mi do tanto disturbo, che mi sembra d'essermi vaccinato impiccandomi idealmente da solo alle colonne di questo salone come i ragazzini di Cattelan, con la differenza che l'interazione col pubblico è arrivata ad un punto tale che se mi impiccassi sul serio lì sopra, quelli del centro anziani della Montagnola per fare i futuristi della terza età mi userebbero come bersaglio con le bocce". "Giusto! A proposito di bocce: quando esco da qua vado subito a farmi due protesi mammarie usando un paio di cheeseburger, così potrò dire che proseguo il filone di ricerca di Claes Oldenburg, anche se io in più so fare dei magnifici giochetti con i piedi… Vuol provare?"

http://www.apollodoro.it/foto/la-pop-art-le-opere-dei-suoi-esponenti_175_3.html

il7 - Marco Settembre