martedì 27 marzo 2012

BERGONZONI, PAROLAIO, DIVAGATTORE



Bergonzoni, parolaio divagattore. Un omaggio a chi mi ha preceduto. E non ha ancora ceduto. Una revisione, un riascolto interiore a caldo. Una pioggia di lemmi.

Trascrizione mentale con revisione autoriale o viceversa. Senza requie. Un canale aperto con le proprie paure. Andando di getto in rigetto. Gettandomi nella mischia. Infilandomi e poi mischiandomi agli ap-plaudenti. Differenze e similitudini tra un applauso funerario e questo che si ripete qui ad ogni coincidenza tra quel che sul palco si dice e quel che noi vorremmo fosse detto. Trovare dunque altri modi di scuotere uno sull'altro quei nostri arti superiori. Mancarne il clap. Stritolare la leggerezza dello spettacolo. E anche la presunta leggiadrezza di chi ha il passo degli elefanti. Divergere. Allungarsi. Slogarsi se possibile. Azionare senza remore il detonatore interiore. Partire da dentro. Patire quei congegni macchinici che fanno di te un corpo funzionante. Esplodere il prima (im)possibile. Non ridurci più sotto para-statale dettatura. Non indurci più in mancate tentazioni. Tentacolari nella nostra sete, non accorciamo la via cercando scorciatoie. Non riduciamoci deteriormente al già crocifisso rappresentare. Non abbreviamoci al divertire. Andare dove non ci vogliono. Di qui passa il Rezza del più il contenitore è sbagliato più è giusto esserci. Evadere dalle strettoie del linguaggio. Dimenticare il non posso. Sregolare le misure. Rendersi irregolari. Non pretendere. Piuttosto tendere. Ed esigere d'andar un po' più in su o in giù del/dal palco. Anche grazie ad esso. Scaliamo vette mentali. Non scaldiamo le poltrone. Non scadiamo nel repertorio. Cadiamo meglio ai nostri piedi. Sveniamoci incontro. Sorprendiamo noi stessi a parlare d'altro. Scoperchiamo i serbatoi energetici che covano in potenza al germinare di certe azioni simboliche/dimostrative. Occupiamo i posti occupati. Disoccupiamoci dei nostri bisogni. Oltre le cose che ci ri-guardano, riscoprire e non ricoprire la parola delle sozzure e delle sovrastrutture. Ritornare dove non si è mai stati: all'etimologia del nostro sproloquiare. Una violenza bella e buona. Una violenza bella è buona.
Non cercare parole chiave ma sfondare porte. Prendersi alla lettera. Prendere alla lettera tutto quello che può darti. Per farla finita con le frasi compiute: le capisco troppo bene e non mi basta. Accogliere la potenza lirica, liberare i versi segregati dai/nei loro incunaboli. La sua infinitamente potenziale drammaturgia espansa. Sfoderare le armi le più contundenti. Armarsi fino ai denti. Armare il nostro intelletto una buona volta. Amarlo più della carne. Così da volteggiare sopra le teste degli incravattati e delle imbellettate. Ricordarsi di Artaud, di Cocteau, Rimbaud, Totò. Farli patire dal ridere. La crudeltà della morte a lavoro del contrabbandiere in fuga dalla fame. Per farla finita con la parodia ammiccante. Con l'altra faccia della stessa medaglia. Ritrovare energia dilagando. Andando oltre il seminato. Risolutamente, non essere utili. Ancora una volta, e sarebbe una svolta, non servire. Non fare teatro con il teatro. Deragliare. Ammaccarsi di vita non prevista. Andare dove non ci cercano. Inaccettabili perché non accomodabili. Non accettare più gli speciali televisivi su quello che dovrebbe/potrebbe essere l'ordinario. Non lasciar più correre. Essere intransigenti. Ritornare sui propri passi mancati. Di cosa ti occupi (oltre che dell'anima, dello spirito, dell'immateriale)? Di cosa ti preoccupi (oltre che delle tasche, dello stomaco, della casa)? Sei troppo vicino alla cassa, da morto, di spesa o d'amplificazione? Sei troppo vicino al presente. Espatriare dal campo semantico. Senza un capo che ti orienti. Fedine penali e cartelle cliniche: la di-gestione del potere è un problema de-generazionale. Non insegnate ai bambini o forse ripartiamo tutti dagli asili. E, quanto a noi, non sostiamo ancora in sala d'aspetto. Non riduciamoci ad essere umani. Dai comandamenti passiamo ai domandamenti, distacchiamoci fino ai demandamenti. Cerchiamo investimenti che abbiamo per base degli spostamenti. Esortazioni retoriche missive incendiarie. Non tornare come prima. Urge un tentativo delirante, praticato rimescolando le traiettorie, aggiungendo spiragli. Le storie esemplari finiscono male. E non sono vere.

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